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Tra diversità e uguaglianza

di Silvia Napoli

Il talk è stato  un primo appuntamento con nuovi lavori e rappresentazione delle nuove professioni e/o imprese, la scelta di una diretta radio e la presenza di podcast. Un’analisi delle iniziative promosse all’interno del Piano per l’Uguaglianza delle istituzioni bolognesi. I nuovi linguaggi della politica e i progetti personali come chiave di lettura della realtà non virtuale. Dove la rappresentanza del lavoro, partiti e sindacati, trovano spazio e progetti politici nel contesto di nuove realtà compositi e creative.

 

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Prima di commentare una serata particolare come quella generatasi dal talk Sorprendente titolato di Necessità Virtù, andata in scena all’Arena Orfeonica di Bologna giovedì 6 luglio e scaturita dalla proficua collaborazione armonica di diverse realtà di base con l’Associazione Valore Lavoro, mi piace partire un po’ obliquamente dalla ancor più recente presentazione, per la seconda edizione, del Piano per l’Uguaglianza del Comune e dell’area metropolitana di Bologna.

Ovvero una iniziativa, se vogliamo una sorta di festival monstre, nell’esporre e proporre alla cittadinanza quanto di meglio si prova a fare nell’ambito della pubblica amministrazione, delle public companies e del gotha della produzione industriale, curiosamente legato ancora a modelli metallurgici e automobilistici che peraltro non vengono messi in discussione, per favorire la piena inclusione lavorativa e la piena ascensione sociale delle Donne. Una tre giorni densa compatta, che più che di narrazioni personali si nutre di cifre , dati quantitativi, letture qualitative dei medesimi , comparazioni erudite tra sistemi e mondi anche diversi e molto lontani e quello che la nostra  territorialità e la Regione  tutta offrono  in termini di progettualità innovative, ricerche mirate, tutela dei diritti e delle narrazioni che coinvolgono minoranze e diversità. La cosa che salta agli occhi è che tutte le fonti principali di ricerca e monitoraggio fanno capo a potentissime entità fondiarie, bancarie, o legate  a grandi forme di potere economico comunque , come a dire che un sistema produttore di disuguaglianze ha  tutte le capacità in se di monitorare i fenomeni e indirizzare i discorsi in merito. I dati che fotografano dunque anche la condizione femminile italiana in base alla sua oggettiva  situazione economica e lavorativa, al suo potere d’acquisto, alla sua capacità di sfondare il tetto di cristallo sono impietosi anche agli occhi di potentati tutt’altro che definibili di attivismo transfemminista. Si sa comunque, che alimentare forti disuguaglianze diffuse  considerando il fatto che la popolazione femminile non è certo statisticamente equiparabile ai panda in via di estinzione , finisce per essere una vulnerabilità di tenuta sistemica , una incapacità a produrre innovazioni,  a incentivare forme di consumo ulteriore, che seppur in senso non progressista, bensì sviluppista, sono un’anima del liberismo estremo.

In base ai diversi indicatori presi in considerazione, il nostro paese, che già non faceva bella figura in merito lo scorso anno, collocandosi al 63esimo posto, stavolta scivola ignominiosamente al 79 posto, oltretutto nel silenzio istituzionale più assordante, fa notare Lembi, madrina dell’iniziativa nonché….

Durante la prima giornata delle relazioni , viene sottolineato con forza come il tema del Lavoro,  in questa specifica sede ,poco scalfito dall’altro dilagante tema delle grandi dimissioni, sia cruciale per un delinearsi di una piena cittadinanza e autonomia femminile e come in buona sostanza l’inferiorità economico-sociale femminile alimenti anche il circuito della violenza e discriminazione di genere.  Le donne italiane complessivamente lavorano ancora troppo poco per una endemica carenza di servizi e persino certi stati molto meno sviluppati di noi ci battono su alcuni terreni, se evidentemente riescono ad essere in posizioni più elevate in classifica , anche se poi disaggregando i dati e leggendo meglio certi contesti scopriamo come non tutto  sia oro quel che sembra luccicare.

Ma a fronte di questo drammatico status quo, è poi vero  che non si lavori? E perché casomai, se una donna lavora è quasi sempre troppo? Soltanto nel senso dei lavori di cura? Ma quali fasce anagrafiche riguardano questi lavori di cura? E si tratta poi sempre di accudimento di prole in un paese dalla natalità media bassissima come il nostro?

Se anche in contesti come questo, si sceglie di non adoperare, visto che il linguaggio in una politica di donne in favore di donne è pur sempre importantissimo, termini come precarietà, conflitto , resilienza, ma si cercano risorse concettuali  non tanto nei gender studies, quanto nel campo del diversity management, vuol dire che qualcosa sta accadendo nel senso di slittamenti di percezione comuni e che comunque pare difficile pensare ad una riorganizzazione globale e trasversale della conciliazione dei tempi di esistenza di tutte e tutti . Insomma, il Lavoro o c’è o non c’ė. Che non ci sia è sempre un guaio e dati sull’incidenza femminile nella assegnazione di basic incomes non sembrano essere presenti . Discutere se non in termini di flessibilità e razionalizzazione di quanto l’intera visione del modello di sviluppo possa essere modificabile  e del quanto come cosa produrre , pare un’altra cosa molto difficile da farsi .  In tutto questo potrebbe essere auspicabile forse sapere in che misura esista una visione sindacale complessiva e non soltanto rivendicativa di un tema complesso quale quello che lega Lavoro e Riproduzione Sociale , tema biopolitico e materialista per eccellenza e antecedente ai discorsi di Cura. Forse la conditio sine qua affinché la Società tutta possa andare avanti. E se  questa nostra società sembra essere al collasso sotto vari aspetti , non sarà anche parzialmente, perché il disastro che sta producendo l’Antropocene si accompagna ad un senso di diserzione diffuso da aspirazioni e aspettative socialmente riconosciute come funzionali alla perpetuazione della specie e del sistema ?Il Piano per l’Uguaglianza comprendiamo sia un insieme di dispositivi processuali che guarda oltre la conclamata crisi delle rappresentanze e dei corpi intermedi e che, gettando il cuore oltre l’ostacolo,  ha l’ambizione di coniugare pratiche dal basso con momenti precisati come ”necessari”, di governance topdown, probabilmente rappresentati più i secondi dei primi in questa tre giorni. Ma, come dire, in un certo senso, ci sta, provenendo appunto l’iniziativa dal livello istituzionale.

E qui, veniamo ora al talk sorprendente da cui siamo partiti,  voluto, incoraggiato e sponsorizzato da una associazione di matrice sindacale quale Valore Lavoro, nata a sua volta con desideri e ambizioni complessi, quali quelli di volgersi allo scandaglio e all’analisi di bisogni , criticità, ma anche potenzialità generate da un mondo tutto sommato sommerso ai dati statistici e forse letto e interpretato solo in chiave vittimistico-depressiva, quale quello del multitasking professionale spesso a carattere fortemente creativo e innovativo, ovvero il mondo non solo a partita iva ma che si avvale di un mix di contrattualità diversificate e poco conosciute agli stessi fruitori , popolato di persone che fanno cose che prima non esistevano e facendole convivere con molto altro in sequenza o giustapposizione. Un mondo composto di competenze trasversali e sfaccettate a livello medio alto di acculturazione, con ottima padronanza linguistica e certamente molte esperienze all’estero, un mondo in cui le donne invece ci sono, sono giovani, sono tante, sono sicuramente desiderose di prendersi la loro fetta di torta, ma certo devono in qualche modo fare di necessità virtù, se vogliono preservare il nocciolo duro identitario del loro lavoro.  E certamente devono avvalersi anche di autoironia e leggerezza per surfare in un mondo di pregiudizi duri a morire.

In Arena Orfeonica, in un contesto molto particolare da  Metti una sera a cena trattandosi di un buffet africano insolito e appetitoso,  abbiamo visto svolgersi un incontro reso possibile dalla perizia tecnico logistica  del municipio Sociale Labas , di autonarrazione esperienziale , oggi riascoltabile come podcast dalle frequenze di Neuradio che trasmetteva in diretta. Flavia, parte in causa ella stessa e portatrice dei molti fil rouges di discorso, ha dialogato infatti con Alice, Elena , Ginevra la stessa chef Florette, sui molti percorsi e le molte scelte da rinegoziare e riconciliare costantemente con se stesse e i propri spazi di vita, che queste donne si trovano a compiere praticamente ogni giorno. Scelte spesso complicate, percorsi che in realtà sottintendono un impegno un po’ h 24, senza limiti di orari e fuori da un sistema di tutele conosciuto , in mare aperto rispetto alle insidie contrattualistiche di cui si diceva e con bussola utilizzata la propria passione autorealizzativa, che peraltro potrebbe essere anche diversa fra qualche anno. Una giovane sinologa pop, una esule politica dei nostri tempi, una dj giornalista con la passione del fashion style, una attrice teatrale insospettata cubista , una organizzatrice, studiosa della comunicazione street e attivista transfemminista  si sono trovate , in un range di età tra i 25 e i 50, conoscendosi poco o per niente, in una dimensione protetta, riconosciuta, finalmente dedicata, che ha consentito loro di esprimersi e raccontarsi senza filtri e senza giudizi. Non paure, difficoltà, rinunce o sacrifici, sono venuti fuori dai loro discorsi, finalmente pubblici ma anche estranei ad ogni retorica solidaristica o partecipativa o rivendicativo-rappresentativa.  Ma semplicemente sono emerse  scelte, seppur eterodosse , compiute in piena responsabilità e appunto con tenacia e passione e gusto della reinvenzione identitaria al di là degli stereotipi.  Questo gusto di libertà, seppure dentro i forti vincoli e limiti strutturali che i dati ci consegnano, è anche una onda lunga di ricadute femministe se vogliamo, ma sarebbe altrettanto banalizzante non vedere e ascoltare le problematiche che queste ragazze ci riconsegnano e che ci  parlano di necessario auto  supporto all’ auto impresa, di retribuzioni minori  perché è difficile farsi riconoscere le proprie competenze per quello che sono o di salire di livello, o perché i contratti talvolta sono capestro o perché ancora non si riesce a farsi prendere sul serio, a superare stereotipie e pregiudizi , o perché non basta essere donne e lavorare tra donne per uscire dal dispositivo patriarcale, se il Lavoro conserva tutto il suo contenuto punitivo- sacrificale che ha matrice religioso antropologica molto antica.

In tutto questo appare clamoroso come sia il mondo della protezione sociale, che il mondo organizzato della difesa delle tutele che il mondo delle famose misure topdown di cui riferivamo, siano almeno apparentemente distanti, non comunicanti, non abbastanza conosciuti.

Una mancata intersezione di linguaggi, uno specialismo che fagocita e rielabora sempre in termini tecnici qualsiasi esperienza di vita , sta li a dimostrarci come non solo diritti della persona debbano andare di pari passo con diritti sociali , unica  modalità a mio avviso per ritrovare una dimensione collettiva che forse aiuti a gestire fuori dalla logica dell’esperto normalizzatore di turno, dinamiche di gestione dello stress oggi a quanto pare incistate nella condizione giovanile tout court, ma come da un lato i diritti non siano acquisiti una volta per tutte, vadano difesi e puntellati, ma anche costantemente ridefiniti e rimodellati in un mondo di trasformazioni che sembrano poco governate e in viaggio con il pilota automatico e soprattutto conosciuti. Bisognerà pure trovare un modo per essere formate tutte alla consapevolezza dei propri diritti in qualsiasi sfera dell’esistenza , bisognerà pure poter esigere sempre e comunque i propri diritti di cittadinanza senza essere per questo automaticamente ascrivibili alla categoria attivista-militante..

Tornerà il Sindacato tutto ad avere una visione che risulti compatibile attrattiva con le nuove generazioni schiacciate dal peso di retoriche incrociate e fumose incapaci tuttavia di esprimere idealità vere da un canto e dall’altro da logiche burocratiche a dir poco zariste ammantate da imperativi tecnologici?

Saprà inventarsi nuovi e diversificati spazi e strumenti di ascolto e formazione e ricerca, anziché moltiplicare i servizi, cosa che si è già vista in campo di welfare sociosanitario , allontanare la tanto invocata prossimità dal cittadino utente e risultare disorientante per le nuove culture?    Saprà soprattutto avvalersi di momenti di percorso costruiti insieme , in cui l’approccio culturale, la postura espressivo-comunicativa sopravanzino finalmente la logica sempre un po’ sanremese intrisa di ansia da tesseramento e politycally correct, sfidato gentilmente e sommessamente da queste ragazze, che affligge spesso le kermesse sindacali con iniziative maratona che abborracciano insieme un po’ di nomi noti del momento?

Quanto spreco di energie e risorse si potrebbe evitare rendendo semplicemente per una volta protagonisti i propri stessi potenziali assistiti fuori da ogni logica demagogica?  Che cosa aspettiamo ad evitare il men’s explaining dell’esperto magari di lotte che parla addosso all’autodeterminazione di giovani donne? Quanto daremo valore anche ai processi di nuova ricerca partecipata che pure il sindacato agisce ma rimangono spesso confinati nelle segrete stanze e poco divulgati tra i più diretti interessati? Si riuscirà anche semplicemente ad operare una flessibilità e conciliazione di orari che riguardi lo stesso modo di intervento sindacale, poiché si sa quanto sia difficile poter ritrovare  in generale giovani semplicemente in certe fasce orarie, senza per questo ledere magari altre esigenze di conciliazione? Come si possono chiedere tutele che abbraccino anche l’agio del tempo per lo studio e una vero apprendimento continuo, dal momento che laurea e posto fisso e routinario sono ormai per forza sia di necessità che di virtù, superati dalla realtà?

Queste sono le complesse sfide che mette in campo una iniziativa certo parziale, ma attendibile perché vissuta sul campo  e declinata anche a partire dalla convivialità diversamente organizzata e vissuta , con una attenzione alle persone in quanto tali più che alle categorizzazioni  evitando tuttavia demagogia o  agitando muletas populiste.  Che dire? Certamente bisognerà anche in questo caso, completare, innovare, concepire un volume due che cerchi nuove relazioni dopo aver aperto la faglia problematica  e che allarghi lo spettro della possibilità di visione. Repetita iuvant si diceva un tempo con le due note accezioni di senso quella topdown appunto e l’altra non pedissequa, ma semplicemente da un altro punto di vista più in basso e c’è un grande lavoro da fare per tessere insieme entrambe in modo creativo.

Bologna 17 luglio 2023

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