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Mr. Holmes e il mistero della vita

di Maria C. Fogliaro

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Si può arrivare a superare i novant’anni e rendersi conto di non aver vissuto troppo a lungo, scoprendo sul finale di un’esistenza fermamente guidata dalla concretezza e dal rigore logico che la ricchezza della vita non è ingabbiabile nei soli fatti, e che la natura umana rimane un mistero insondabile? È quanto accade a Sherlock Holmes in Mr. Holmes – Il mistero del caso irrisolto (Mr. Holmes, UK-USA, 2015, 104’) di Bill Condon, film tratto dal romanzo A Slight Trick of the Mind (2005) di Mitch Cullin e in concorso al Festival internazionale del cinema di Berlino del 2015.

È il 1947. Sherlock Holmes (un grande Ian McKellen) è di ritorno da un viaggio in Giappone, dove – su invito del signor Tamiki Umezaki (Hiroyuki Sanada) – si era recato alla ricerca del fiore di pepe (Zanthoxylum piperitum), pianta ritenuta capace di ritardare l’azione devastante di malattie degenerative come l’amnesia senile di cui soffre. Da più trent’anni, ormai, Holmes ha lasciato Baker Street, abbandonando la professione di detective, e si è trasferito in una piccola cittadina del Sussex, dove trascorre i suoi giorni tra studi sulle piante e la cura delle api. Abita in un cottage insieme a Mrs. Munro (Laura Linney), la sua governante, e al figlio di lei, Roger (Milo Parker), un fanciullo vitale e brillante.

Forse le cose andrebbero avanti così per sempre, se una novella del dottor Watson (scomparso già da tempo) letta per caso dopo la morte di Mycroft (il fratello maggiore di Sherlock), e la vivace intelligenza di Roger – con il quale Holmes stabilisce man mano un rapporto di segreta complicità, sotto lo sguardo amorevolmente preoccupato di Mrs. Munro – non avessero fatto irruzione nella sua esistenza ordinata, destando quel che in lui pareva sepolto: il ricordo sbiadito e per anni dimenticato del suo ultimo caso, quello di Mrs. Ann Kelmot (Hattie Morahan). Comincia così per Holmes un faticoso viaggio nella memoria, che si traduce in un ripercorrere i passi dell’uomo che fu e che – Holmes lo sa con certezza, anche se nella sua memoria di questo non vi è più traccia – ha scelto il Sussex come volontario esilio per punirsi. Ma per cosa?

Quello che Holmes vuole scrivere è un nuovo racconto, lontano dalle licenze poetiche di Watson, che nella sua novella aveva alterato la storia cambiandone il finale. E nel farlo l’anziano ex detective sarà costretto – a causa dell’amnesia senile che lo ha colpito – a fare a meno delle sorprendenti facoltà deduttive, che Arthur Conan Doyle ha reso famose. Un’avventura dolorosa, insomma, resa ancor più difficile dall’avanzare inesorabile del tempo, che indebolisce il fisico e trattiene con sé i ricordi di una vita.

Meravigliosamente sorretto da Ian McKellen – il cui volto, valorizzato da splendidi primi piani, ci inchioda allo schermo –, Mr. Holmes – Il mistero del caso irrisolto racconta la solitudine di un uomo, il dolore e il rimorso per aver rifiutato quel che forse una seconda giovinezza avrebbe potuto regalare: un’esistenza resa sopportabile dalla presenza di un’altra anima con cui la sua solitudine avrebbe potuto convivere. I morti – dice Ann Kelmot – non sono realmente così lontani, sono solo dall’altro lato del muro. Siamo noi, da questo lato, che siamo tutti così soli.

L’attenta regia di Bill Condon – che può contare anche sull’intensità della musica, composta da Carter Burwell – costruisce un film dalla struttura narrativa complessa, che riesce a tenere insieme, con equilibrio, i differenti livelli temporali attraverso i quali il racconto cinematografico si sviluppa: la Londra dei primissimi anni Venti, che vede Holmes impegnato nel caso Kelmot; il Giappone alla fine della Seconda guerra mondiale, dove un ormai anziano Sherlock si reca per trovare un rimedio che contrasti la malattia che minaccia le sue funzioni intellettive e dove, invece, verrà coinvolto nel caso personale, ma che in realtà lo riguarda molto da vicino, del signor Umezaki; e il Sussex del 1947, dove, alla fine, tutti i filoni narrativi si ricongiungeranno, trovando ciascuno la propria collocazione. La fotografia, che ci consegna colori intensi e saturi, rende indimenticabili le ambientazioni sullo sfondo: quelle avvolte da una magica bellezza della campagna inglese e delle scogliere che affacciano sulla Manica, ma anche quelle che risvegliano la coscienza di una Hiroshima devastata dalla Bomba.

Il viaggio di Sherlock Holmes alla ricostruzione del suo ultimo caso è una prova faticosa che lo porterà ad affrontare il vuoto della propria vita, a ripensare se stesso e le proprie convinzioni, e a ricominciare. Immergendosi nel proprio dolore, facendo i conti con i limiti propri e del proprio intelletto, per approdare infine alla tranquillità dell’anima, riscoprendo la propria e più intima dolcezza anche grazie alla vicinanza sincera e filiale di Roger.

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