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La dura legge del mercato

di Maria C. Fogliaro

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Never we had it so bad («Non c’è mai andata così male») potremmo dire – rovesciando il motto simbolo del trionfo dell’ordine keynesiano negli anni Sessanta – per raccontare la vicenda di Thierry Taugourdeau (un intenso Vincent Lindon, vincitore per questa sua interpretazione del Prix d’interprétation masculine alla Sessantottesima edizione del Festival di Cannes).

Senza lavoro e non più giovane, Thierry si ritrova sradicato, in un mondo desolante al quale, per intima vocazione, sembra non poter aderire. Tuttavia, sostenuto da un temperamento solido, non si arrende e, pur di trovare una nuova occupazione, affronta il tortuoso e spesso umiliante percorso che ogni disoccupato oggi ben conosce: frequenta un corso di formazione, spedisce curricula, sostiene colloqui. Ma non serve a niente, nessuno lo assume, nonostante sia disposto ad accettare un incarico al di sotto di quello che aveva nella precedente azienda e a un salario inferiore. I compagni di lavoro in fabbrica (come lui senza più occupazione) lo esortano a lottare, a contestare il licenziamento, ma per Thierry è passato quel tempo: ha la responsabilità di una moglie, Karine (Karine de Mirbeck), e di un figlio, Matthieu (Matthieu Schaller), studente, con gravi problemi fisici. Mancano i soldi, i risparmi di una vita si assottigliano, e un’efficiente impiegata di banca gli consiglia di vendere la casa – la sola certezza di stabilità che a Thierry è rimasta – e di sottoscrivere un’assicurazione sulla vita.

Comincia così La legge del mercato (La loi du marché, Francia, 2015, 93’), l’ultimo film di Stéphane Brizé, scritto con Olivier Gorce. La macchina da presa è catturata, dall’inizio alla fine, dal viso del protagonista, dai suoi occhi grandi e malinconici, nei quali il regista riesce abilmente a cogliere l’intima perplessità e il disagio che in Thierry affiorano davanti all’insensatezza del mondo nel quale si trova gettato, e che vuole sovrastarlo – come confermano i colori freddi e desaturati della fotografia, quasi a voler indicare, per il protagonista, l’inizio di un viaggio nella notte.

Il film è strutturato in episodi e girato quasi come se fosse un documentario, con inquadrature strette, che prediligono il mezzo primo piano, proprio per convogliare l’attenzione dello spettatore sui volti, anche su quelli degli uomini e delle donne che affiancano Thierry sullo schermo e che divengono essi stessi protagonisti. Perché la legge del mercato non vale solo per Taugourdeau. A essa sembra non esserci scampo: invade il cuore dell’esistenza, incupisce la mente, vuole l’anima. La vita familiare ne è condizionata: nessuna inquietudine è qui urlata, ma l’intimità si rivela e immediatamente sfuma in malinconici istanti di svago – come quando Thierry e Karine si abbandonano alla dolcezza di un nostalgico ballo rock –.

Thierry non è il solo in questo dramma. Partecipano tutti della stessa sorte, e tuttavia il problema rimane sempre privato, mai condiviso. Ce ne accorgiamo quando – spinto da estrema necessità e dopo aver frequentato uno sconfortante corso per imparare a gestire la propria immagine nei colloqui di lavoro – è assunto come addetto alla sicurezza in un supermercato. Obbligato ad adattarsi a una realtà che gli sta stretta e a soffocare la propria naturale tendenza all’empatia, egli viene a contatto con persone che commettono piccoli furti – con prepotenza o per reale bisogno –, ed è costretto ad assistere alle umiliazioni di colleghi, che – per piccole effrazioni – subiscono, in un clima di sottile ansia montante, i richiami di una direzione che, a sua volta, per ragioni di ristrutturazione, sta segretamente decidendo dei licenziamenti. Thierry osserva, senza cedimenti, impeccabile nel suo ruolo, protagonista (all’apparenza) non partecipe – proprio perché in realtà intimamente aderente ai drammi che gli passano sotto gli occhi –, fino al consumarsi della tragedia finale.

Film serio, privo di cadute querule e di retorica condiscendenza, La legge del mercato mostra una realtà – la nostra – in cui a prevalere è sempre un solo punto di vista, l’unico contemplato: la legge del mercato, appunto. Una dimensione non a misura d’uomo, che come un’ombra lo segue e lo penetra, fino ad arrivare, a volte, anche ad annullarne il corpo.

E allora, tutto è perduto? Forse. Ma gli ultimi fotogrammi mostrano un lampo, uno scatto improvviso nel volto e nei gesti di Thierry Taugourdeau. Non si può accettare tutto. L’abito stretto che gli hanno imposto ormai è logoro: l’esistenza recalcitra per riprendersi la propria libertà.

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