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La necessità di entrare in «agòn»

di Maria C. Fogliaro

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«Pólemos di tutte le cose è padre, di tutte le cose è re; e gli uni rivela dèi, gli altri umani, gli uni schiavi, gli altri liberi»: è, questo, uno dei frammenti più celebri di Eraclito. Che la lotta, il conflitto, al limite la guerra, siano l’energia originaria che muove il mondo, in quanto − per il filosofo di Efeso − manifestazione terrena di una contesa cosmica perenne, è uno dei tòpoi più potenti dell’Occidente ed è una delle origini del pensiero filosofico stesso. Da questo mito, essenza dell’Ellade, svigorito e negato (ma non superato) dall’avvento dell’età moderna e delle sue neutralizzazioni produttrici di forma e di ordine, ha preso le mosse l’edizione 2016 del «Festival Filosofia», il cui tema-chiave − Agonismo − ha orientato le oltre quaranta lezioni magistrali e tutti gli appuntamenti (le lezioni dei classici, le mostre e gli spettacoli) in programma dal 16 al 18 settembre fra Modena, Carpi e Sassuolo.

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Se il conflitto debba essere espunto dalla comunità politica, così come è avvenuto per tutta l’età moderna con l’affermazione di un ordine razionale stabilizzante − lo Stato −, o se al contrario esso debba essere accolto, anche se non fino alle sue conseguenze estreme, all’interno della forma istituzionale dando spazio a una concezione agonica della politica, rappresenta uno dei dilemmi principali con il quale si confronta la filosofia contemporanea. Da qui la scelta di aprire il festival, a Modena, con le riflessioni sui due classici della storia del pensiero politico che più di tutti rappresentano il simbolo di un’antinomia che costituisce forse il lascito più pesante della modernità: il Leviatano di Thomas Hobbes − il testo che ha dato origine al Moderno, commentato per l’occasione da Giacomo Marramao −, e Così parlò Zarathustra − oggetto della riflessione di Giuliano Campioni − del filosofo emblema della distruzione della forma della neutralizzazione moderna del conflitto: Friedrich Nietzsche.

Il cuore del festival sono state, come ogni anno, le lezioni magistrali, che hanno visto alcuni dei massimi pensatori mondiali affrontare il tema-chiave dell’agonismo da prospettive diverse e talora divergenti secondo gli specifici percorsi intellettuali. Fra i protagonisti di questa edizione ricordiamo Remo Bodei con una lezione dal titolo Vincere contro se stessi; Massimo Cacciari con Filosofia come agòn; Eva Cantarella con una lezione sul ginnasio greco; Umberto Curi con Lotta per la pace; Roberto Esposito che ha trattato la crisi biopolitica dell’Europa; Umberto Galimberti con Agonia; Carlo Galli cha ha analizzato I nemici invisibili della democrazia; Salvatore Natoli con La fatica della conquista e la gloria della vittoria; Elena Pulcini con Invidia; Massimo Recalcati con l’Elogio del fallimento; Emanuele Severino con una lezione dal titolo Pólemos; Gustavo Zagrebelsky che è intervenuto sul pluralismo politico; e Stefano Zamagni che ha affrontato il tema della concorrenza.

A testimonianza di quanto il festival sia guardato con grande attenzione in Europa e nel mondo, numerosa è stata la partecipazione dei filosofi stranieri, fra i quali Marc Augé con Rivincita; Zygmunt Bauman con Natura o cultura?; Miguel Benasayag con Elogio del conflitto; Hans Ulrich Gumbrecht con Bel gioco; Chantal Mouffe cha ha parlato del conflitto democratico; Jean−Luc Nancy con Le armi della critica; e Peter Sloterdijk con una lezione dal titolo Esercizi sportivi.

Tutte le lezioni seguite, che sono state eterogenee tra di loro per argomenti, finalità e assunti categoriali di riferimento, hanno tuttavia finito con l’incrociare necessariamente, partendo proprio dall’agòn, gli interrogativi più pressanti del nostro tempo. Fra tutti la condizione dell’uomo contemporaneo nel pieno di una crisi di tipo antropologico-culturale che lo sta trascinando verso una trasformazione che pare irreversibile; e il tema dello stato della democrazia, il cui futuro sembra essere necessariamente legato alla riattivazione dell’energia polemica che della politica − come della filosofia − è parte fondante, e che storicamente è stata indispensabile per l’esistenza di quella che ancora oggi, nonostante la sua crisi profonda, viene considerata, perlomeno in Occidente,  la sola forma legittima di governo.

L’entusiastica partecipazione di un pubblico vasto ed eterogeneo − che ha contribuito a rendere il festival di Modena, Carpi e Sassuolo, fin dalla sua nascita, uno degli avvenimenti culturali più importanti d’Italia − alimenta grandi aspettative anche per l’edizione del prossimo anno, che avrà come tema-chiave la parola Arti.

Davanti ai vigorosi scossoni prodotti dalla crisi della narrazione neoliberista − che ha dominato, incontrastata,  l’ultimo quarto  del XX secolo e che ancora oggi impera, nonostante i suoi disastri −, in un tempo di profonda incertezza politica, economica e sociale che ha quasi interamente distrutto la temporalità progettuale tipica dell’età moderna, la grande  affluenza di persone da ogni parte del Paese che ha caratterizzato − nonostante le poco favorevoli condizioni meteorologiche −  anche questa edizione del festival testimonia il bisogno profondo di recuperare − lontano dalla «chiacchiera» commerciale, politica, giornalistica − la propria autonoma capacità di decifrare la realtà grazie alla parola filosofica, l’unica in grado di educare l’uomo al proprio tempo anche contro di esso. A conferma di quanto oggi più che mai sia necessaria, per la formazione di personalità adulte e certe di sé, di cittadini autonomi e consapevoli, l’azione di veri «educatori», quelli − come afferma Nietzsche − «che ti rivelano qual è il senso originario e la materia fondamentale del tuo essere» e che «non possono essere niente altro che i tuoi liberatori».

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