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Restanza obbligata

Dutch Fishing Boats in a Storm - William Turner

Dutch Fishing Boats in a Storm – William Turner

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nel numero di novembre 2019 della Voce del Campo ponevo l’attenzione su due  concetti quello di esodanza e quello di restanza.

Il primo, di mia invenzione, connota la tendenza consumistica al viaggio motivato dalla ricerca del piacere individuale, dalla ricerca dell’esotico, in parte alimentato dai mass media e dall’industria turistica del low cost. 

La restanza invece appartiene di più alla sfera valoriale umana: la condizione, il sacrificio di chi vuole rimanere legato alle radici. Di chi sta dov’è. Il desiderio di ciò che è vicino.

Indubbiamente si tratta di tendenze che hanno implicazioni diverse  sulle persone, sulla comunità, sul territorio soprattutto in termini ambientali, non ultimo il rischio del cosiddetto urbanicidio (vedi articolo di novembre).

Sembra incredibile ma solo pochi mesi fa ognuno di noi era “libero” di scegliere di andare o restare a proprio piacimento, una scelta che trovava limiti solo  nel tempo/denaro a disposizione. Chi restava forse aveva capito che ci si può muovere anche nell’immobilità.

È stato proprio il superamento del limite della natura una delle cause della diffusione della pandemia che ora cerchiamo di controllare restando a casa. 

Questo ti voglio dire

ci dovevamo fermare.

Lo sapevamo. Lo sentivamo tutti

ch’era troppo furioso

il nostro fare. Stare dentro le cose.

Tutti fuori di noi.

Agitare ogni ora – farla fruttare.

Ci dovevamo fermare

e non ci riuscivamo.

Andava fatto insieme.

Rallentare la corsa.

Ma non ci riuscivamo.

Non c’era sforzo umano

che ci potesse bloccare.

(…)

(Mariangela Gualtieri Nove marzo 2020)

Ce lo dicono i versi di Mariangela Gualtieri, , ce lo dice Luca Parmitano dallo spazio quando parla della estrema fragilità della terra. Ce lo dicevano gli sguardi persi delle persone in strada dentro le loro gabbie con le ruote. Ce lo dice da tempo la natura quando scatena i suoi elementi.

“ L’alveare felice” teorizzato da Bernard de Mandeville più di tre secoli fa il cui paradigma ideologico si fonda sull’ingiustizia, l’ingordigia  e la prevaricazione rappresenta bene il nostro sistema socioeconomico. 

Mandeville  preconizza anche la fine dell’alveare   Parecchie migliaia di queste valorose api perirono. Il resto dello sciame, che si era indurito nella fatica e nel lavoro, credette che l’agio e il riposo, che mettono a sí dura prova la temperanza, fossero un vizio. Volendo dunque garantirsi una volta per sempre da ogni ricaduta, tutte queste api si rifugiarono nel cupo cavo di un albero, dove a loro non resta altro, della loro antica felicità, che la contentatura dell’onestà

Il nostro alveare è stato pesantemente attaccato da un virus letale che ha disperso le api.  Tutto si è magicamente fermato. 

Siena nella sua altera bellezza sembra un castello incantato, le poche persone che si incontrano per le strade quasi si scusano per profanare tale incanto. Le auto impolverate abbandonate nei vicoli e nelle piazze danno la dimensione della loro relativa utilità. 

Sembra di essere tornati al medioevo alla descrizione che fa Agnolo di Tura del Grasso in Cronaca senese della peste nera  che imperversò a Siena tra aprile e ottobre del 1348 quando morirono migliaia di persone e tra loro i fratelli Lorenzetti: 

“La città di Siena pareva quasi disabitata, ché non si trovava quasi persona per la citta” 

Oggi la bellezza della città, non diversa dai tempi di Agnolo, a malapena riesce a lenire  le preoccupazioni, le paure di molti che temono per la loro salute anche economica. 

Non solo, lo svuotamento progressivo della città verso la periferia di attività economiche e di famiglie accentua il senso di vuoto sociale che si respirava già prima dell’epidemia. Fortunatamente restano aperte alcune botteghe di vicinato che riescono a rendere più umano lo sforzo di sussistenza.

C’è da chiedersi che sarà del tessuto socioeconomico della città una volta finita questa emergenza? Un tessuto fortemente provato dalle vicende accorse negli ultimi anni.

Che sarà del “sottobosco virtuoso” della città fatto delle poche attività marginali rimaste (botteghe artigianali negozi storici) che denotano il carattere unico e personale della città e sono un baluardo contro l’urbanicidio? 

In generale sarà sufficiente questa dura lezione per rallentare la corsa e per rivedere il sistema dell’economia globale che ci fa correre come api impazzite?

Questo dipende dai comportamenti che individualmente e come comunità metteremo in atto, dalla lungimiranza delle politica,  dalla volontà collettiva di un radicale cambiamento delle nostre abitudini. 

L’importante in questo momento di restanza obbligata è nutrire il seme dello “stare dentro le cose” che tale evento ha posto dentro di noi senza rifugiarsi in nessun albero cavo a leccarsi le ferite.

 

Luciano Fiordoni

2 Aprile 2020

 

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