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La Repubblica Italiana al bivio tra limite e frontiera.

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“Ho visto tante ferite nel territorio” sono le parole pronunciate dal Presidente della Repubblica durante la sua visita in Emilia Romagna nei luoghi devastati dall’alluvione.

L’eco di quelle parole che rimbombano nelle valli, negli alvei dei fiumi, nelle crepe delle strade e dei cuori infranti di chi è stato sfollato o ha subito lutti e danni, ci lascia sbigottiti ma di fatto è la cronaca di una catastrofe annunciata già cinquant’anni fa.

Era il 1972 quando il Club di Roma commissionò al MIT la pubblicazione di un rapporto denominato I limiti dello sviluppo che evidenziò l’insostenibilità per il Pianeta di un modello economico improntato sul tasso di crescita della popolazione, dell’industrializzazione, della produzione di cibo e dello sfruttamento delle risorse perché entro cento anni si sarebbe manifestato un declino improvviso.

 

Il concetto di limite allo sviluppo non è un monito lontano ma ha a che vedere con il nostro quotidiano e con la responsabilità che ognuno di noi assume nella società come singolo individuo e come parte di organizzazioni sociali: dalla famiglia all’impresa, dalla rappresentanza politica e sindacale all’associazionismo tutto.

E’ un concetto che riguarda la democrazia, che pone limiti alle proprie libertà nel rispetto di quelle altrui.

E’ un tema che si intreccia con politiche fiscali che possono porre limiti all’accentramento della ricchezza e allo sfruttamento dei beni comuni e delle risorse naturali, rilanciando i settori a basso impatto ecologico e contenendo l’inquinamento.

Anche le politiche finanziarie possono tracciare limiti agli “investimenti brown” basati sulla speculazione e sul mero profitto spingendo, come ha fatto l’Unione Europea, sui criteri di sostenibilità ESG.

Anche la BCE ha rialzato i tassi di politica monetaria per porre un limite all’inflazione e tale limite ha spinto al rialzo la curva dei tassi di interesse, soprattutto sulle lunghe scadenze, generando un limite al finanziamento di imprese e famiglie.

Per evitare il disastro a cui abbiamo assistito si sarebbero dovuti porre dei limiti effettivi alla speculazione edilizia, al consumo di suolo, alle emissioni e non derogare di volta in volta ai limiti di leggi nazionali e regionali già emanate da tempo.

La produzione oggi deve necessariamente ricorrere ad una progettazione che rispetti i limiti delle emissioni e dello sfruttamento delle risorse, sviluppando bio economia circolare; di conseguenza anche i consumi dovranno limitare i prodotti rivenienti da quei settori dannosi per le economie, per l’occupazione precaria per l’inquinamento generato, premiando invece il modello REDUCE REUSE RECYCLE.

Il limite è il paradigma della mobilità sostenibile, lenta e smart, in città che devono limitare l’isolamento e l’individualismo e tornare a popolare le strade e le piazze per una nuova socialità ed una politica di prossimità.

Poiché la mobilità è strettamente connessa agli spostamenti casa lavoro, così come la socialità è legata al tempo libero, bisognerebbe porre dei limiti all’orario di lavoro e nuovi limiti ai trasferimenti o alle trasferte.

In questo contesto il ruolo del Sindacato diventa strategico perché può contrattare quei limiti e continuare a porre limiti allo sfruttamento della forza e del valore lavoro.

Il limite è il “nomos” della terra, cioè la misura con cui sin dall’antico Egitto si tracciavano con corde e paletti i limiti per coltivare le terre dopo le piene del Nilo; è la consuetudine umana che nell’antica Grecia comincia ad assumere i tratti della norma.

Ecco perché il limite è nella storia dell’uomo anche sinonimo di civiltà ed equilibrio sociale, contrapponendosi nel tempo al concetto di frontiera, dove l’uomo poteva conquistare nuove terre ed essere autorizzato come nel far west a non avere limiti e misura.

 

Il limite delinea lo spazio, cioè il luogo dove si esplicita la dimensione del potere e ha a che fare con la norma, ecco perché è necessaria un’azione comune che possa abrogare quell’impianto giuridico che mina la dignità delle persone perché non limita il precariato, lo sfruttamento, la speculazione.

 

In ultimo il limite più importante è la nostra Costituzione, nata dal movimento di Resistenza che ha posto un limite a chi ha occupato e violentato la nostra terra, che tutela l’ambiente e la biodiversità e che, nella forma democratica fondata sul lavoro è nostro patrimonio e va tutelata e declinata ogni giorno: ponendo limiti a quella politica e a tutti coloro che all’alba del 2 giugno, intendono spostare i paletti delle norme per creare un far west.

 

 

 

 

Bologna, 1° giugno 2023                                                  Sabina Porcelluzzi

Dipartimento Sostenibilità e RSI

FISAC CGIL

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