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Ritornare alle “radici”, ritornare alla solidarietà

di Maria C. Fogliaro

CLF - Olmstead Parks

In una civiltà in cui la tecnica e l’economia hanno «dissolto i variopinti legami che univano l’uomo alla natura», e nella quale anche gli ordini razionali della modernità novecentesca sono andati in pezzi, la società diventata liquida e individualistica si va decomponendo e ricomponendo. Senza più un ordine o una direzione, individui sradicati si trovano privi di un orizzonte di appartenenza o di un rifugio. Ma proprio nel punto finale di questo processo − in un terremoto sociale e simbolico andato ben oltre l’alienazione di massa un tempo prodotta dall’organizzazione taylorista −, forse per un bisogno di senso, forse per la «nostalgia di quando nell’uomo viveva ancora qualcosa di intatto», nasce l’esigenza di recuperare la storia e lo spazio. Storia e spazio sono le radici, che affondano nel passato, e che si collocano con fermezza in un territorio specifico.

Contro lo svigorirsi delle relazioni personali e simboliche, e delle esperienze vissute in sintonia con la tradizione, ormai svanite ma ancora presenti nella mente di chi − ancora bambino − le vide tramontare, viene costituita a Piacenza, nel dicembre del 2015, l’associazione di promozione sociale «Le nostre radici». L’associazione, che ha sede in un accogliente casolare (con un bel giardino e una splendida corte) sulla Strada Statale 45 di Val di Trebbia, è nata in modo volontario e senza fini di lucro per rispondere a un’esigenza che è sia collettiva, sia individuale. «Siamo soprattutto un gruppo di amici che condividono un progetto» − afferma Paolo Merli, vicepresidente del circolo − «al quale tutti credono e che, nonostante le piccole difficoltà iniziali, viene portato avanti con impegno e grande entusiasmo».

Recupero di antichi sapori e antichi mestieri, come i piatti tipici della tradizione piacentina, o come il progetto di una gelateria artigianale per preparare «il gelato come una volta»; fare della sede dell’associazione un luogo di riferimento per la città, in grado di ospitare le molte iniziative culturali in programma (dalla scuola di musica agli incontri di lettura, dai giochi di società alla libreria), e contemporaneamente di ricreare (anche attraverso l’organizzazione di «serate a tema» per beneficenza e per promuovere i prodotti locali) l’atmosfera tipica delle «palte», le antiche osterie di campagna a conduzione familiare, che servivano anche da negozio e da punto di riferimento per i viandanti: ecco come possiamo immaginarci una maniera di recuperare le tradizioni con intelligenza, senza feticismi e senza xenofobie, e di dare valore alla dimensione «popolare» dell’esistenza comune, nel suo significato più semplice e autentico.Tutto ciò ha un particolare significato in una regione come l’Emilia-Romagna, che, nella sua storia recente, ha saputo costruire una società al tempo stesso sviluppata e dinamica ma anche relativamente organica, e che oggi cerca di reagire contro i rischi di anomia e di disgregazione che il presente porta con sé.

Su una originaria affinità nei modi di intendere il rapporto con la «memoria» e le tradizioni si fonda la collaborazione fra «Le nuove radici» e Daniele Ronda − cantautore piacentino, socio fondatore e testimonial dell’associazione −. Insieme hanno dato vita, il 15 aprile, a un concerto al Teatro Municipale di Piacenza a sostegno di ANPAS (Associazione nazionale pubbliche assistenze), nel corso del quale Ronda e la sua band − il Folklub, che conta fra i suoi membri anche Sandro Allario, fisarmonicista bergamasco fra i più noti nella scena musicale italiana − hanno entusiasmato il pubblico numeroso con ritmi energici e coinvolgenti alternati a momenti musicali più riflessivi e attenti all’impegno sociale, che sono la cifra del cantautore piacentino.

In questa riflessione, che ci riporta al bisogno di appartenenza e al rapporto che annoda la memoria all’identità, e che nasce dall’incertezza su ciò che sarà il futuro, bisogna anche tenere a mente che ogniqualvolta ci volgiamo al passato − reale o immaginario − non possiamo sperare di trovare qualcosa di assoluto, perché là dove sono esistiti ed esisteranno uomini, ci sono sempre due necessità, concorrenti e compresenti: le moltitudini in movimento proiettate verso il futuro, e le comunità che custodiscono la memoria. Di entrambe, del loro intreccio più o meno equilibrato, è fatta la storia.

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