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La settimana scorsa ho fatto un viaggio in treno da Siena a Follonica[1] ed è stato come rivivere di persona, mezzo secolo dopo, le sensazioni descritte nel romanzo Ferrovia Locale di Carlo Cassola del 1966, vissute dal ferroviere Dini di un treno merci nella linea San Vincenzo, Campiglia e Orbetello.
Ma veniamo alla mia esperienza di viaggio.
Nel binario n.5 era ferma, quasi dimenticata, una locomotiva a diesel di un bel colore verde con inserti bianchi nella parte centrale che ospita anche il vagone passeggeri di prima e seconda classe. Un bel mezzo robusto di archeologia ferroviaria, indubbiamente superato sul piano ecologico, ha la stranezza di un davanti e un retro che sono perfettamente uguali e ciò rende pressoché difficile prevedere la direzione che prenderà il treno.
Ho provato a salire ma le portiere d’ingresso dei passeggeri stentavano ad aprirsi. Una situazione probabilmente ricorrente perché il flemmatico conducente sceso tra i binari, dopo un breve smanettamento agli ingranaggi, ha fatto si che le porte si aprissero.
Il treno semivuoto è quindi partito, sfumacchiando come una vecchia corriera.
E’ iniziato un viaggio di circa 100 km, interamente privo di elettrificazione, a binario unico.
Per me, ma anche per i pochi viaggiatori forestieri, è stato come ritornare indietro nel tempo per i luoghi toccati o intravisti dal treno come la Grancia di Cuna, risalente al Medioevo o l’elegante borgo trecentesco di Monte Antico che si staglia a distanza.
Ma quello che mi ha particolarmente colpito è stata la fervida natura estiva che ha avvolto il treno nel suo sferrragliante passaggio.
Appena lasciate le ultime case di Siena, il locomotore ha fatto un luminoso ingresso in un tunnel di verde proteso, quasi con rispettoso timore, verso il treno, mentre di lato correva incessantemente una bordura rossa di papaveri. Fiori, erbe selvatiche, arbusti sembrava si fossero rifugiati lungo la ferrovia per salvarsi dall’intervento antropico.
D’improvviso si sono aperti scenari per me noti ma inaspettati da quella mutevole e veloce prospettiva. E’ stata una gara dell’occhio ad impadronirsi di immagini di orti, di vigne perfettamente disegnate, di olivete avvolgenti morbide colline, di piccole stazioni di campagna. Ad un tratto il treno si è avventurato incerto su un vecchio ponte di ferro che attraversa un fiume dall’intenso colore della locomotiva.
Il tempo è scorso veloce nonostante l’andamento lento del treno fino a quando la linea si è andata a congiungere con la ferrovia Tirrenica a nord della stazione di Montepescali.
L’arrivo alla stazioncina di Montepescali è stato per me spiazzante, lo definirei un brusco ritorno al futuro.
Infatti a Montepescali Il binario singolo quasi arrugginito ruggine si incontra timidamente con lucenti binari elettrificati, al pari di un parente povero ma dignitoso che incontra quello di successo.
E’ stato quasi imbarazzante scendere dalla locomotiva diesel per salire in un lucido treno di ultima generazione con numerose carrozze a due piani che hanno anche uno spazio per il deposito bici per cicloturisti[2]. L’interno del vagoni è moderno con aria condizionata , vetri semioscurati che a malapena permettono di vedere il paesaggio che scorre velocissimo di lato, chiaramente risultano assenti le bordure di erbe e papaveri.
Se ripenso a tale viaggio le sensazioni che emergono sono contrastanti.
Da un lato l’emozione di una realtà fatta di piccole cose, uno scenario minimalista alla stregua di quello descritto da Cassola 50 anni prima. Un mondo semplice dal volto umano, che in altri luoghi è andato quasi perduto, dove il viaggio è ancora una esperienza fatta di precarietà e di piacevoli sorprese.
Dall’altro l’amara costatazione dell’isolamento, splendido nella sua unicità, della nostra Città, che è divenuta una realtà socio economica che stenta a trovare una identità autonoma collegata al suo illustre passato.
Se negli anni 30 del novecento Siena ha avuto l’ardire di realizzare un progetto futurista della stazione, oggi manca totalmente della volontà forse della capacità politica di guardare ad un futuro ecosostenibile. Le istituzioni senesi sembrano aver adottato un progetto di sviluppo fondato sul modello del “laisser faire laisser passer”[3] un principio liberista settecentesco che oggi nell’epoca dei grandi numeri e dei grandi movimenti di uomini e mezzi presenta più rischi che vantaggi per la nostra città.
Luciano Fiordoni
Sovicille 20 Giugno 2022
[1][1] il primo collegamento ferroviario tra Siena e Grosseto risale al 1872 come diramazione della ferrovia Centrale Toscana presso la stazione di Asciano, che proseguiva verso sud-ovest attraversando la Val d’Orcia fino a raggiungere la ferrovia Tirrenica, inaugurata 8 anni prima, all’altezza della stazione di Montepescali. Nel 1923, furono avviati nuovi lavori alla linea da parte della Società Italiana per Imprese Ferroviarie e Lavori Pubblici (SIF) riprendendo in gran parte la sede di una preesistente ferrovia mineraria che dalle miniere di lignite di Murlo conduceva alla stazione di Monte Antico (1927). Inizialmente la stazione di partenza era Siena Madonnina Rossa, situata a est della città nel punto di confluenza con la ferrovia Siena-Chiusi. Otto anni dopo fu completata la nuova stazione di Siena (1935) d’impronta futurista su progetto dell’architetto Mazzoni.
[2] Servizio non previsto nel treno da Siena per Grosseto nonostante la città ospiti importanti manifestazioni internazionali di bici come le Strade bianche o l’Eroica
[3] dell’economista J.-C.-M.-V. de Gournay (1712-1759 ( riassume il principio secondo il quale lo Stato non deve imporre alcun vincolo all’attività economica, allo scopo di affermare il postulato della libertà individuale).