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La Corte d’ Assise di Appello di Torino ha confermato che, nel rogo alla Thyssen-Krupp, vi furono responsabilità gravissime del management dell’ azienda. La Corte ha tuttavia ridotto in modo significativo le pene inflitte dal giudice di primo grado e, soprattutto, ha negato che nella causazione della morte degli operai vi sia stato dolo (cioè consapevole rappresentazione) dell’ amministratore delegato della società. Di fronte alla gravità del disastro e al grandissimo dolore cagionato, si comprende la rabbia dei familiari delle vittime alla lettura del dispositivo della nuova sentenza. Al di là di tale, inevitabile, profilo emotivo, domandiamoci tuttavia come possa essere valutata, sul terreno tecnico-giuridico, la decisione assunta ieri dalla Corte d’ Assise d’ Appello; e soprattutto come si spieghino le diverse valutazioni che essa ha compiuto rispetto a quelle fatte dalla Corte di primo grado. Il profilo più rilevante concerne la mancata conferma della condanna per omicidio doloso (dolo eventuale) dell’ amministratore delegato della società e la sua sostituzione con una condanna per omicidio colposo aggravato dalla c.d. «colpa con previsione». Secondo l’ opinione prevalente, si ha «dolo eventuale» quando il soggetto si rappresenta che un evento (ad esempio la morte di una persona) può essere concretamente causato dalla propria azione od omissione, e cionondimeno procede, accettando il rischio che l’ evento previsto come possibile effettivamente si verifichi; si ha «colpa con previsione» quando il soggetto si rappresenta l’ evento come conseguenza astrattamente possibile della sua condotta, ma ritiene di potere escludere che, nello specifico contesto in cui egli agisce, esso si verificherà. Tale linea di demarcazione, concettualmente, è chiara. Nella pratica è stata, tuttavia, fonte di frequenti, rilevanti, difficoltà, non essendo agevole accertare se l’ agente, dopo essersi rappresentato che un evento poteva essere cagionato dalla sua azione od omissione, ha accettato il rischio che esso si sarebbe verificato, ovvero ha agito nella certezza che esso non si sarebbe invece verificato. Di qui la ragione della possibilità di valutazioni divergenti della medesima vicenda, tenendo presente che, in assenza di prova certa di segno contrario basata su solidi argomenti d’ accusa, il giudice è comunque obbligato ad optare per la soluzione meno «invasiva» per l’ imputato (ritenendo, quindi, presente soltanto la colpa). Con riferimento alla tragedia verificatasi alla ThyssenKrupp, la sentenza di primo grado, alla luce dello specifico contesto nel quale si era verificato il disastro, aveva ritenuto che la prova dell’ accettazione del rischio, quantomeno nei confronti di uno degli imputati, era stata raggiunta. Si trattava di una decisione sicuramente «storica», in quanto mai prima di allora era stata riconosciuta l’ esistenza del dolo eventuale in vicende di omissioni in materia di sicurezza nei luoghi di lavoro seguite dalla morte di alcuni lavoratori, mentre si era sempre riconosciuta, al più, l’ esistenza della colpa con previsione. La Corte d’ Assise di secondo grado, accogliendo le argomentazioni della difesa, ha, evidentemente, ragionato diversamente. Sarà interessante leggere, quando saranno depositate, le motivazioni della decisione, per verificare quali sono state, specificamente, le ragioni che hanno indotto il giudice a ritenere che non vi fosse prova certa dell’ accettazione del rischio della morte degli operai. E tale lettura sarà tanto più interessante, se si considera che la Corte ha mantenuto ferma la condanna dei dirigenti Thyssen per il delitto di omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro, e dovrà pertanto spiegare per quale ragione, nonostante tale dolosa (e quindi consapevole) omissione, essi abbiano potuto soggettivamente escludere che essa potesse in qualche modo determinare la morte di taluno dei lavoratori. In ogni caso, si deve fin da ora rilevare che la degradazione, da doloso a colposo, del reato addebitato all’ amministratore delegato della società e la generalizzata diminuzione delle pene, non significa automaticamente che la Corte di Assise di secondo grado abbia sottovalutato la gravità di quanto è stato commesso, e cagionato, dai dirigenti Thyssen coinvolti nel processo. Come ha rilevato ieri lo stesso Raffaele Guariniello nell’ immediatezza della sentenza, i dieci anni inflitti all’ amministratore delegato, ed i nove, otto e sette anni rispettivamente irrogati agli altri imputati, sono comunque molti e, per un omicidio colposo
plurimo sui luoghi di lavoro, prima d’ ora mai un Tribunale si era spinto a tanto: «Un messaggio – ha soggiunto il pubblico ministero – comunque importante per le imprese, che devono sapere di dover fare prevenzione, per non incorrere in pesanti condanne penali non coperte dalla condizionale». Un’ ultima considerazione. La degradazione da dolosa a colposa di un’ imputazione non ha conseguenze rilevanti sul ristoro delle vittime del reato, poiché agli effetti del risarcimento del danno rileva, in linea di principio, indifferentemente «ogni fatto doloso colposo» (il dolo potrebbe, tutt’ al più, avere qualche minima – influenza sul calcolo del danno morale risarcibile); e nessuna influenza ha, agli effetti risarcitori, la condanna ad una sanzione penale più o meno elevata. Alla luce di queste considerazioni non si può pertanto sicuramente dire che la Corte di Assise di Appello abbia in qualche modo, con la sua decisione, recato, oggettivamente, un nocumento materiale ai familiari delle vittime (che, d’ altronde, nel caso di specie erano già stati risarciti).