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Michele Fasano: METAMORPHOSIS, contro canto dell’Amore Universale

(in collaborazione con www.inchiestaonline.it )

Michele Fasano: METAMORPHOSIS, contro canto dell’Amore Universale

| 8 Maggio 2024 | Comments (0)

 

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A partire dal 16 maggio 2024 sarà possibile vedere nei cinema italiani METAMORPHOSIS, un film d’animazione molto speciale, che sta mietendo decine di riconoscimenti nei festival di tutto il mondo, ma che soprattutto affronta il tema della guerra e della pace nel mondo con leggerezza e poesia. Cercatelo nei prossimi gironi nel cinema più vicino, per aggiornamenti seguilo su https://www.facebook.com/Sattva.films.Michele.Fasano oppure su https://www.instagram.com/sattvafilms

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Michele Fasano

METAMORPHOSIS: contro canto dell’Amore Universale

Per promuovere pace, conoscenza, rispetto e scambio tra i popoli dell’area euro-mediterranea (e non solo), certo è strategico mettere in discussione gli stereotipi e nutrire i valori comuni, ma fondamentale è anche operare nel rispetto delle culture tradizionali. In tal senso, l’ambito d’intervento più difficile resta quello del dialogo inter-religioso. L’incommensurabilità tra le diverse narrazioni confessionali spesso induce però o a un approccio laicista (sostanzialmente fondato sulla diffidenza verso la religione) che propone una tolleranza che tende a separare a compartimenti stagni («che ciascuno stia al suo posto» – sembrerebbe ci venga detto); oppure, d’altra parte, vige un approccio questa volta sì religioso, ma in fin dei conti impermeabile alle ragioni dell’altro, in cui ci si arma di paziente, ma sorda accettazione (senza conoscersi), tollerandosi a distanza (senza potersi comprendere davvero), anche quando ci si sforza di collaborare. Si ha paura di parlare di tutto e fino in fondo «con» e «dell’altro», si teme di urtarne la sensibilità (se non di contaminarsi), perché non si spera neanche di poter essere intesi, per via di una preconcetta irriducibile «diversità» data per scontata.

Eppure, a ben vedere, dalla sapienza delle varie religioni ci viene ricorrente l’indicazione che «non c’è autentica conoscenza senza amore, così come non c’è amore senza conoscenza». E tuttavia, per lo più, la convivenza regge solo finché gli equilibri economico-sociali non entrano in crisi, per ragioni tutt’altro che spirituali quindi, al punto che le dinamiche materialistiche (tecnocratiche) finiscono per essere l’unico effettivo motore della Storia, l’unica ragione coercitiva delle azioni umane, accrescendo ancor più il disagio di tutti, anche dei mondi religiosi.

Né c’è speranza di pace nella reazione confessionale che cerca un integralismo identitario quanto più ci si smarrisce di fronte alle dinamiche tecnocratiche e materialistiche imperanti. Nei momenti di crisi politico-sociali, tale sostanziale ignoranza reciproca tra culture e sensibilità religiose, che determina tuttalpiù solo una superficiale tolleranza di vicinato, si rivela insufficiente ad arginare derive estremistiche. Qualcosa di analogo accade agli stessi cittadini secolarizzati, isolati da un’organizzazione del lavoro che non pone al centro «la persona umana», in periferie inabitabili (tanto più se immigrati). Della loro rabbia non ci si dovrebbe meravigliare, mentre si dà per scontata la loro pazienza.

Per superare tale pericolosa e instabile condizione di «paziente tolleranza», senza conoscenza e senza amore, occorrerebbe andare più a fondo, o elevarsi più in alto. La sfida, quindi, non è tanto di ordine intellettuale (teologico o ideologico), né di ordine morale, ma prima di tutto «spirituale»: vale a dire poetico (un principio di realtà che comprende la complessità) e mistico. Riconoscersi nel diverso da sé è processo difficile che non passa per via pedagogica, prescrittiva, moralistica… , ma esperienziale.

Musica, poesia e spiritualità sono le vie da favorire, per cominciare ad attingere a radici più profonde, a identità universali non astratte, né imposte dall’alto, accessibili e comuni a ogni essere umano, soprattutto se condivise in tradizioni radicate.

Analogamente, benché sia stato spesso storicamente rappresentato come luogo di scontro, il Mediterraneo è stato invece più spesso luogo di fertili interazioni tra popoli, tale da costituire lentamente un’area comune plurale allo stesso tempo. Il mare ha svolto il ruolo di zona di confine, tale da permettere il fiorire di culture diversificate, capace di distinguere senza mai separare. Sono nate comunanze da fenomeni dialogici prolungati, dei quali il lento moto ondoso, ricorsivo e costante, è metafora efficace.

Tali civiltà sono fiorite soprattutto nei momenti storici in cui, in luogo di un centro politico ordinatore (tipicamente imperiale), si è potuta invece sviluppare una pluralità di nodi pulsanti di vita economica, culturale e sociale. Il mare è stato elemento facilitatore di scambi e migrazioni, ma l’immagine capace di rendere l’unitarietà dialogica del Mediterraneo non è stata tramandata tanto dagli studiosi o dai media (volta a volta amplificatori di narrazioni funzionali alle esigenze del centro ordinatore di turno), quanto piuttosto dagli artisti, dai musicisti, dagli scrittori. Costoro, più liberi e vicini alla vita delle genti, hanno mostrato di possedere strumenti più adatti a descrivere la particolare relazione dinamica tra multiculturalità tratti comuni che caratterizza i popoli del mare e lo loro spiritualità, un aspetto che va senz’altro rivalutato.

Nell’Ebraismo, nel Cristianesimo e nell’Islam, nella loro versione ortodossa essoterica (per tutti), la creazione si presenta come un atto che produce un’opera esterna a Dio, talmente diversa da Lui che, secondo alcune tradizioni, non solo Egli se ne tiene separato, ma ancor di più, se ne assenta. Tale concezione dualistica separa, in fin dei conti, l’altro da se stessi, dando rilevante importanza a concezioni confessionali identitarie ed esclusiviste, che contribuiscono in modo determinante all’ «invenzione del nemico». In una condizione di separazione da Dio, data come ontologica, le teologie diventano ideologie che definiscono, tra le altre cose, chi è parte della creazione voluta da Dio e chi ne sarebbe deviazione (un demonio da combattere). Una semplificazione riduttiva e molto pericolosa, come la storia insegna. Un malanno presente in tutte le “confessioni”, le quali per ironia della sorte scoprono un tratto comune patologico proprio mentre esercitavano il massimo sforzo per distinguersi, per di più in modo nihilistico, in base ad una “mera negazione dell’altro da sé” e non per un vero principio di identità.

Tuttavia, in una concezione esoterica ed ermetica (elitaria), anch’essa propria sia dell’Ebraismo, sia del Cristianesimo, sia dell’Islam, non è esatto dire che «Dio ha creato il Mondo…» in un rapporto Creatore/Creatura che implica o separazione e dominio lontananza e assenza; ma è più corretto dire che «Egli si fa creazione…», che è gestazione perpetua, al contempo «principio dinamico di fondo» e «processo» della grande metamorfosi: la Creazione Perpetua.

In base a tale concezione della Realtà, metamorfica e circolare, la dimensione spirituale è inseparabile da quella materiale; unica radicale identità possibile è quella dell’Universale che si manifesta in modo infinitamente molteplice, che pertanto comprende e trascende tutto e tutti. Il Logos è sì “pensiero di Dio” (e la ragione umana vi può aderire), ma non ne esaurisce la dimensione, perché Egli è sì Logos ma anche di più di esso, in quanto Egli può creare anche dal nulla, in modo non deterministico. Le conseguenze culturali di quest’idea sono enormi.

La relazione vivente con il luogo diventa fondamentale per comprendere le differenze tra le diverse narrazioni e i miti che di volta in volta tentano di rappresentare la Signoria di Dio che agisce nel Presente e crea continuamente. La relazione vivente con il luogo spiega la molteplicità delle epifanie che fondano quei miti diversi, a fronte dell’Unicità della Realtà.

In tale movimento della coscienza «l’Altro da sé» (umano o non umano) diviene addirittura – quanto più è diverso – tanto più necessario alla consapevolezza prima di tutto di se stessi, l’Ascolto e il Dialogo unici atteggiamenti di saggezza, la radice del vivente unica, profonda e dinamica, mai statica, mai idolatrica. Lo straniero (il diverso) è sempre una possibile epifania del Divino cui va prestata attenzione… per ritrovare se stessi. Dio diviene concepibile al culmine di una coscienza che contempla l’Uno nel molteplice, altrimenti è idolatria («Non nominare il nome di Dio invano»). E i fondamentalismi in tale ottica sono – patologicamente – idolatria, in quanto ideologizzazione. Per dirla con Lao Tse: «Quanto tutta la verità è circoscritta e codificata, là comincia il male».

Il Monoteismo ritrova così  la sua più schietta ragion d’essere in un’ottica universalista pluralista e può unire gli uomini in una convivenza di pace, senza omologare i popoli, ma valorizzando e al contempo trascendendo le differenze, in una visione in cui ogni tipo di spiritualità, nessuna esclusa, trova accoglienza, ciascuna partecipe del comune movimento metamorfico dell’Essere. Nessuna teologia (o ideologia) razionalizzante (circoscrivente) può proferire verbo in merito, senza che sfugga l’Essenziale; nessun dialogo è davvero possibile su basi fatalmente riduzioniste, destinate ad escludere (anche solo intellettualmente).

Come condividere questo livello più profondo o più alto d’identità aperta? Come condividere un’esperienza «mistica», ma d’ordine quotidiano, accessibile a tutti? senza permettere che sia inscatolata in un prodotto estetico da vendere a peso? e come riuscire d’altra parte a descrivere l’incircoscrivibilità di tale dimensione spirituale in modo da evitare che evapori dalle menti senza lasciare segno?  Solo canto e poesia ne sono stati da sempre intimamente capaci. Occorre forse ripartire da canto e poesia per nutrire civiltà e politica? Questo ho inteso fare io realizzando il film d’animazione METAMORPHOSIS: riappropriarmi dello spazio del fondamento riconducendolo all’Amore, piuttosto che all’ideologia, a una genuina dimensione abramitica, di “puro monoteismo”, per sottrarlo a fanatismi e settarismi, con le loro ideologizzazioni ex post, funzionali a premeditate “guerre sante” dell’impero di turno. E ho inteso farlo condividendo in forma filmica sia la mia esperienza di viaggio nel Mediterraneo (il repertorio documentaristico presente nel film inerente i 4 personaggi), sia i brani di autori della tradizione islamica (data l’ansia islamofobica montante nel senso comune): Muhyî-d-Dîn Ibn al-‘Arabî (XII secolo), Jalâl ad-Dîn Rumi (XII secolo), Farid a-din Attar (XII secolo); Husayn Mansûr al-Hallaj (X secolo), Abd al-Karîm Jîlî (XIV secolo); con un tocco di India, Rabindranāth Tagore (XX secolo).

Tali maestri dell’Islam spiegano che l’Amore – fondamento universale – è quel “luogo senza luogo” a cui si accede a patto di saper deporre ogni ansia egoico-identitaria; che in questo consiste diventare ḥanīf (in arabo ﺣﻨﻴﻒ‎), puro monoteista, che è quanto il Corano prescrive in primo luogo, nel solco della tradizione abramitica comune a Ebraismo e Cristianesimo. A tale soglia METAMORPHOSIS intende ricondurre lo spettatore. A lui poi decidere se varcarla.

BREVE PRESENTAZIONE DEL FILM

Ispirato a «La conferenza degli Uccelli» di Farid al-Din ‘Attar, il film narra di uno stormo di uccelli che viaggia al seguito di Upupa, verso la Montagna di Kafh, dimora di Re Simourgh, che possiede le risposte alle loro domande. Tra sogno e realtà, i volatili attraversano le 7 Valli. I più si perdono per strada, tranne i 4 di loro che vivranno l’esperienza di altrettanti personaggi umani reali: Monika (Albania), Abdurrahman (Turchia), Jihad (Siria) e Susan (Israele). Personaggi molto diversi l’uno dall’altra, per età, genere, cultura e religione, territorio di origine e mitologie, paesaggi geografici e background storico e psicologico. Per i casi della vita, ma sulla base della propria specifica differente ortodossia, ognuno di loro vive contemporaneamente in due o più religioni. Non solo «accanto», in un atteggiamento di tolleranza, ma «abitandone più d’una allo stesso tempo». Il cinema d’animazione, per via di metafora, consente di dare visibilità sia alla loro comunanza spirituale, nella loro assoluta differenza culturale, sia all’antichità della tradizione sapienziale in cui tale comunanza si inscrive: la religione dell’Amore.  Alla fine solo a 6 uccelli sarà rivelato il segreto: all’Upupa che li guida (ma anche lei dovrà prima imparare qualcosa); ai 4 che avranno vissuto l’esperienza d’Amore di quei personaggi umani, più ad un sesto, il più improbabile di tutti.

PREMI

Ad oggi il film ha collezionato 57 premi nei festival di tutto il mondo, per brevità citiamo la “MENZIONE SPECIALE DELLA GIURIA – MIGLIOR REGIA” al CARTOONS ON THE BAY, festival dell’animazione curato dalla RAI in Italia e il “GOLDEN ANIMA: BEST FEATURE FILM” all’HOLLYWOOD FILM & ANIMATION AWARDS a Los Angeles. Poi gli altri in Europa, negli USA, in Canada, Giappone, Singapore, Africa. In INDIA un successo strepitoso: selezionato in 20 festival, il film ha raccolto ben 33 premi (cfr. www.michelefasano.it ). Il film è ancora candidato in altri 20 festival nel mondo.

IL REGISTA

Michele Fasano è regista e produttore indipendente. Nel 2005 fonda la SATTVA FILMS srl e frequenta il MAIAWORKSHOP, programma di formazione per giovani produttori europei, sostenuto dal Programma MEDIA della Commissione Europea. Ha prodotto diversi film, tra cui MANI ROSSE (30 min., 2018) di Francesco Filippi, film d’animazione in stop motion e animazioni 2D. Il lungometraggio METAMORPHOSIS (106 min., 2022) è il suo primo film in animazione come regista e il secondo come produttore. È anche l’autore e il produttore del documentario «In me non c’è che futuro» Ritratto di Adriano Olivetti (144 min., 2011) di cui a suo tempo INCHIESTA già si è occupata e che inaugurò la sua amicizia e collaborazione con Vittorio Capecchi.

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