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Luca Crisma: Vittorio Capecchi e la disabilità, cronaca del dibattito alla festa dell’Unità, 8 settembre

di Luca Crisma

(in collaborazione con www.inchiestaonline.it)

Luca Crisma: Vittorio Capecchi e la disabilità, cronaca del dibattito alla festa dell’Unità l’8 settembre

| 10 Settembre 2023 | Comments (0)

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Vittorio Capecchi e la disabilità: cronaca del dibattito alla festa dell’Unità, 8 settembre

“Vittorio Capecchi e la disabilità. Dalle lotte per la chiusura delle istituzioni totali alla ricerca di strumenti per la qualità della vita” si intitola il dibattito che si è tenuto alla festa dell’Unità di Bologna, nella sala Vittorio Prodi, venerdì 8 settembre, con la partecipazione di Angelo Gabriele Aiello, Roberto Alvisi, Amina Crisma, Simona Lopapa, Emilio Rebecchi, Andrea De Maria.

La registrazione del dibattito, a cura di Sergio Caserta, è disponibile al link

https://www.facebook.com/casertasergio/posts/pfbid0LnaWtyRnKcgWKEDnwkvyNMwB6TaurMpGob8HXkxSvviSzmxWkytqaEh6n6e5xvTGl

Il moderatore Francesco Picciolo nella sua introduzione ha ricordato il profondo e costante rapporto di Vittorio con il tema della disabilità, che Andrea De Maria nel suo intervento conclusivo ha collocato nel quadro del rapporto fra intellettuali e politica che ha caratterizzato la storia di Vittorio e della sua generazione, e di cui Bologna è stato un grande laboratorio a livello nazionale, auspicandone un rilancio futuro. Francesco Picciolo ricorda come Vittorio entrò in un comitato tecnico-scientifico per le disabilità proprio perché aveva a che fare con un’alunna allettata. Andrea De Maria considera il trattamento delle diversità come la maggior differenza tra democrazie e regimi, e ha ricordato come le prime e più dimenticate vittime di Hitler siano state le persone con disabilità.

Angelo Gabriele Aiello, promotore dell’iniziativa, ha raccontato il suo incontro con Vittorio, allora giovane professore trentaduenne, e della sua attività nel movimento di liberazione da quelle che si possono chiamare istituzioni totali. L’oratore ha richiamato quale fosse il contesto con cui ci si dovette confrontare: istituti in cui i bambini venivano inseriti all’età di cinque-sei anni, ove non si trovavano educatori ma studenti universitari in qualità di assistenti pagati poche lire. Il primo numero della rivista Inchiesta (1971), fondata e diretta da Vittorio, ospitò l’articolo di Antonio Frau “Voci dal ghetto dei ciechi”, a “testimonianza diretta della repressione più assurda perpetrata ai danni dei ciechi nelle istituzioni totali più ‘efficienti’”. Angelo Aiello ha ricordato come figure quali Vittorio e Andrea Canevaro abbiano costituito dei riferimenti importanti per promuovere in Italia un’autentica rivoluzione culturale in tale ambito. Essa si incrociava in quegli anni con le battaglie di emancipazione della classe operaia promosse dal movimento sindacale di cui era allora leader Claudio Sabattini, segretario della Fiom di Bologna, con cui Vittorio ebbe un intensissimo rapporto.

Emilio Rebecchi a sua volta ha sottolineato come il punto chiave dell’attività di Vittorio fosse mettersi al servizio della classe operaia per liberare tutta la società. Il percorso di Vittorio è stato connotato da obiettivi e percorsi che sono rimasti coerenti nel corso della sua vita. Oggi, al contrario, firme importanti si contraddicono da un giorno all’altro, mentre i giovani sono connotati da un’incertezza a proposito del mondo da loro desiderato. Dobbiamo raccogliere l’istanza di Vittorio di un mondo più giusto che oggi è più che mai attuale, a fronte di una oppressione dei lavoratori visibile in tanti luoghi. Occorrerebbe tornare nelle fabbriche per vedere se davvero queste siano libere come vengono descritte. Il Professor Rebecchi ha fatto notare al pubblico come le istituzioni totali non abbiano ancora trovato la loro fine, e per accorgersene basti pensare a cosa siano le case di riposo. Noi moriamo quando tutte le persone che ci hanno conosciuto e letto non ci sono più, e dunque Vittorio è ancora qui con noi, e dobbiamo lavorare per proseguire la sua opera.

Simona Lopapa, autrice del libro “Vissuti di qualità: accompagnare nel percorso di vita persone con distrofia muscolare di Duchenne” (Pendragon 2012) di cui Vittorio scrisse l’introduzione, racconta che la persona che glielo ha fatto incontrare è stato Bruno Alvisi, affetto da distrofia muscolare. È da quell’esperienza di assistenza domiciliare che è nata la ricerca di un diverso modo di concepirla, tesa a migliorare la qualità della vita, che nel libro viene compendiata. Le diversità possono diventare handicap (possiamo pensare anche alla timidezza e alla claustrofobia) ma stando accanto alle persone queste possono diventare patrimonio. Nell’introduzione di Vittorio emerge una nozione di diversità come originalità e come valore della persona, intorno alla quale costruire progetti non astratti, ma concretamente ispirati dall’amorevolezza. Per darne un esempio, Vittorio stesso risolse con quattro stecchette di legno un problema legato al fatto per cui la carrozzina non sempre entrava sotto i tavoli. Se si fanno progetti per le persone non esistono barriere.

Amina Crisma, moglie di Vittorio, ha sottolineato come l’attenzione alla disabilità si leghi in profondità alla sua concezione della vita e come si sia costantemente rivelata in tutta la sua esistenza, esprimendosi fra l’altro nell’ultimo progetto di ricerca/azione da lui condotto all’estero nel 2009, in Vietnam, insieme ad Adele Pesce che è stata per oltre trent’anni sua compagna, e che mirava a introdurre modalità e strumenti di sostegno ai disabili nella provincia di Bac Giang. Questo tema si inscriveva profondamente nella sua etica dell’uguaglianza, a sua volta riconducibile alla sua percezione della fragilità come intimamente connessa alla nostra condizione umana: una dimensione con cui Vittorio non aveva paura di relazionarsi, in un atteggiamento di cura che si ricollegava all’esemplarità delle grandi figure femminili della sua infanzia: la madre che durante la guerra curava i partigiani feriti sull’Appennino, la nonna Ida, levatrice, che aveva fatto nascere mezza Pistoia. Nel percorso di Vittorio, paragonabile a un compasso, con un’asta fermamente piantata, e l’altra a descrivere larghi giri, la vastità dello sguardo sempre aperto su nuovi orizzonti (come la Cina, o il Giappone da cui gli è arrivata di recente un prestigioso riconoscimento dei suoi meriti interculturali) si è sempre unita alla fedeltà al suo impianto essenziale. Non appare casuale che l’ultimo suo articolo su Inchiesta sia un’intervista su don Milani, come su don Milani fu il primo, oltre 60 anni fa, apparso sulla rivista de Il Mulino.

Rievocarlo, è un “guardare indietro per guardare avanti”.

Infine Roberto Alvisi ha a sua volta rievocato il suo incontro 48 anni fa con Vittorio, che proveniva dall’esperienza straordinaria della Olivetti di Ivrea 48 anni fa, al Centro studi della FLM. Si trattava di realizzare un progetto di ricerca nelle fabbriche che promuovesse lo studio concreto delle situazioni e fosse capace di valorizzare il sapere operaio. Si veniva dalle lotte del 68, che avevano insegnato che il conflitto è necessario, ma lo è altrettanto l’amorevolezza: è un pendant necessario al conflitto per capire e per costruire i rapporti umani. Nell’80 alla nascita di Bruno, il figlio di Roberto affetto da distrofia muscolare, Vittorio fece una vignetta stile métal hurlant con la dicitura “a Bruno che avrà 20 anni nel 2000” (età a cui allora con la distrofia muscolare non si arrivava). Così allo studio delle fabbriche si affiancò quella della disabilità, nel confronto con la malattia progressiva, che ogni giorno presentava un gradino in più da scalare, e Vittorio e Andrea Canevaro sono stati due riferimenti essenziali nella la battaglia per l’integrazione, contro le classi speciali e gli istituti differenziali. Un altro amore condiviso è stato quello per le macchine automatiche, fiore all’occhiello dell’industria di Bologna, che ha dato modo di riflettere sull’ interazione fra automazione e sussidio alla disabilità.

L’ultima ricerca di Vittorio è stata sulla filosofia del Tao, sul Classico dei Mutamenti, su cui stava facendo un libro che è rimasto incompiuto: la ricerca continua…

Il discorso di Roberto Alvisi si conclude con la citazione di un verso di Wislava Szimborska che Vittorio particolarmente amava:

“Non c’è vita che almeno per un attimo non sia stata immortale. La morte è sempre in ritardo rispetto a quell’attimo”.

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