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SOTTO LA PUNTA DELL’ICEBERG

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Lo scorso 6 luglio in Arena Orfeonica a Bologna ho avuto il piacere e l’onore di partecipare al Talk sorprendente dal titolo “Di Necessità.. Virtù”, patrocinato dalla Festa dell’Associazione Valore Lavoro e dedicato al tema “Donne e Lavoro”. Ho avuto la possibilità in questa occasione di portare di nuovo in scena e di aprire l’evento con un estratto del monologo “Il Risveglio” scritto da Franca Rame e Dario Fo dal testo “Tutta casa, letto e chiesa” del 1977. Una scena brillante che racconta, attraverso un insieme di partiture di azioni e abili trovate drammaturgiche, una donna stressata e sfiancata dal lavoro in fabbrica, dal lavoro di casa, dal lavoro di cura del figlio, dall’essere moglie e dalla necessità di conciliare tutto questo. Siamo negli anni ‘70 ma il testo di Rame ci suona terribilmente attuale: a questa donna viene chiesto il triplo, il quadruplo dell’impegno, della fatica, della responsabilità, del lavoro e della presenza che viene chiesta al Luigi, il marito, l’uomo della pièce.

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A seguito del monologo lo spazio scenico si è trasformato in un semicerchio e dopo l’introduzione di Angiolo Tavanti, presidente dell’associazione Valore Lavoro, con la conduzione di Flavia Tommasini di TPO e CHEAP è iniziato il Talk: le donne protagoniste che hanno raccontato le loro professioni erano Alice Guastaldini, esperta di vintage e redattrice radiofonica, Ginevra Barducci, marketing developer, sinologa e podcaster, MaaFlo, chef di cucina dal continente africano ed io, attrice e ballerina. La prima domanda per rompere il ghiaccio, tanto semplice quanto pungente è stata “Che lavoro fai?”; personalmente non sono mai mancate le difficoltà nel rispondere a questa domanda da quando mi sono diplomata come attrice professionista nel 2019, all’inizio provavo un po’ di imbarazzo nel dire a voce alta “faccio l’attrice”, un po’ come se non sentissi di meritarmelo troppo, a volte preferivo rispondere con un generico “lavoro in teatro”. Tuttavia la parte più divertente arriva nelle domande successive che la gente pone dopo questo primo scambio, e le persone possono ribattere in svariati modi, dal classico “Sì, ma come lavoro cosa fai?”, al “Ma allora sei famosa?”, “Quindi ti ho visto in televisione?”, e poi ancora “Ah, anche mio figlio ha appena fatto la recita con la scuola” oppure, soprattutto da quando abito a Bologna, “Quindi fai il DAMS?”. E’ subito chiaro che questa confusione derivi dal fatto che il mestiere dell’attore oggi in Italia non sia né riconosciuto né tutelato. A differenza di quanto si creda, per diventare attori bisogna studiare e professionalizzarsi esattamente come per diventare medici, ingegneri, professori ecc. In Italia ci sono molte scuole di recitazione ma poche di queste garantiscono una buona formazione, di solito le migliori sono o dovrebbero essere le scuole dei Teatri Nazionali, enti che prendono fondi dalla regione e dal FUS (Fondo Unico dello Spettacolo). Nel 2016 io ho avuto la fortuna di passare l’audizione per la scuola di ERT, Emilia Romagna Teatro Fondazione e di avere così la possibilità di formarmi gratuitamente per tre anni e mezzo conoscendo vari attori e registi del panorama internazionale. Quando un allieva/o attrice/attore si diploma, per diventare poi professionista e prendere la paga da “attrice/attore” deve arrivare a cento giornate lavorative; per alcune/i questo non accade mai. Io avuto la fortuna e la possibilità di cominciare a lavorare subito per un teatro nazionale e avere così il mio stipendio mensile, sapendo e sentendomi dire tutti i giorni di essere una “privilegiata”. In Italia oggi nessun* attrice/attore campa solo di teatro se non quelli della vecchia guarda che sono grandi nomi e che riempiono le sale, se sei fortunata/o fai una produzione due volte all’anno, se ti va male arranchi da “cane sciolto” e accetti lavori sottopagati o non pagati. Quando vedete un’attrice o un attore che recita un monologo voi state vedendo del suo lavoro la punta dell’iceberg: il lavoro inizia quando si deve scegliere un testo da portare in scena, quando lo si adatta al contesto, quando si sistema la drammaturgia, poi si fa l’analisi del testo, si studia dove appoggiare l’intonazione perché la logica della frase sia giusta e fruibile, si impara il testo a memoria, dopo ci si mette in piedi e si fa la regia della scena, si puliscono i movimenti, si capisce cosa può servire per la scena come oggettistica e a livello tecnico. Ho fatto una sintesi. Fare l’attrice oggi in Italia significa ancora di più, significa capire come inserirsi in un sistema che non ha logiche alcune, significa fare pubbliche relazioni ogni volta che si vede uno spettacolo, significa crearsi il lavoro insegnando per esempio recitazione, organizzando laboratori per amatoriali, partecipando ai bandi; significa trovarsi i provini che sono quasi sempre truccati e significa, nel mio caso come in quello delle tante altre giovani attrici italiane, affrontare audizioni in cui i giudici sono quasi sempre uomini e over quaranta. Spostando adesso il focus sulla questione femminile, perché di questo si è parlato nel Talk, vorrei riportare i numeri raccolti da Amleta, associazione di promozione sociale il cui scopo è contrastare la disparità e la violenza di genere nel mondo dello spettacolo: in due anni l’associazione ha raccolto 223 denunce di abusi, molestie e violenze sessuali; nel 93 per cento dei casi riguardano attrici, gli abusanti spesso sono registi. Oltre al gravissimo e grandissimo aspetto della violenza di genere anche nel settore dello spettacolo, le problematiche sessiste che riguardano le attrici dipendono anche dalla drammaturgia che per secoli ha creato grandi e tanti ruoli maschili e piccoli e pochi ruoli femminili, e poi la mancanza totale di un riconoscimento professionale da parte di chi sta sopra di noi e ci dà lavoro, quindi quasi esclusivamente uomini. Questo ultimo aspetto si aggrava terribilmente se sei giovane. Durante il Talk è stato chiaro fin da subito che queste problematiche riguardassero tutte noi, che riscontrassimo tutte le stesse difficoltà e provassimo lo stesso tipo di paura, frustrazione e umiliazione. Tornando a Franca Rame, grandissimo tassello della storia del teatro italiano, un po’ oscurata dalla figura di Dario Fo che, anche grazie a lei, ha vinto il premio Nobel, vorrei riportare quanto accadde nel 1973: un giorno di marzo l’attrice venne rapita e sequestrata da un gruppo di uomini fascisti. La tennero segregata per ore. La seviziarono e la violentarono. Così vollero punirla per il suo impegno politico, per essere una donna di sinistra. Un altro aspetto tanto importante quanto complesso del lavoro da attrice è il “fare politica” attraverso il teatro: Rame è l’esempio massimo di questo, l’attrice che parla con una voce profonda e tonante e usa parole taglienti che diventano armi è potente ed è pericolosa, è scomoda e quindi va punita. Nel suo caso lo stupro. Nel caso delle tante giovani attrici italiane le umiliazioni, le manipolazioni, le molestie, i ricatti e il tenerci zitte, perché una donna che ha voce e sa come usarla è sovversiva. Questa forte componente politica (e non partitica) la ritrovo in quanto donna anche nel mio secondo lavoro, quello da ballerina/cubista. In questo caso c’è una totale mancanza di tutele dal punto di vista professionale e il mondo delle discoteche non è dei migliori, questo perché ancora una volta i gestori dei locali, i responsabili sono quasi sempre uomini. Ballare su un cubo, in bikini o con un body scosciato, in maniera sensuale per lavoro è un’ importante azione di consapevolezza femminista. La cubista è “puttana” (e uso ora questo termine con la comune accezione degradante) perché lo sguardo maschile la vede come tale, perché si parla di oggetto sessuale non di soggetto sessuale. Il corpo della ballerina in discoteca, come della donna per qualsiasi professione,  appartiene solo a lei, ed è lei che può decidere chi e cosa vuole essere, quando essere pudica, rigida, seria e quando essere pazza, libera e puttana. Oltre a questo aspetto anche in questo caso si vede solo la punta dell’iceberg perché per fare la ballerina serve un corpo forte e allenato, flessibile e creativo, e tutto questo lo si ottiene solo con lo studio, la pratica e ore di allenamento a scuola di ballo. C’è ancora molta strada da fare per essere riconosciute, tutelate, rispettate come professioniste e c’è la necessità di parlare tanto di queste problematiche in modo da far vedere a chi sta fuori tutto quello che c’è sotto la punta dell’iceberg.

 

Elena Natucci

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