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Il fragile regno dei gemelli Kray

di Maria C. Fogliaro

krays_lgRegnare su Londra: questo fu il sogno dei gemelli Kray. E per un breve ma intenso periodo − fra i Cinquanta e la fine degli anni Sessanta − Reginald “Reggie” e Ronald “Ronnie” Kray furono i sovrani incontrastati della malavita londinese. Partiti da Bethnal Green nell’East End, i due fratelli gangster − a capo di una banda organizzata conosciuta come The Firm, coinvolta in rapine a mano armata, racket delle protezioni, aggressioni violente, incendi dolosi − accumularono ricchezze, prestigio e conoscenze, scalando velocemente i vertici del potere criminale nella capitale britannica, con la complicità di importanti personalità del mondo politico, istituzionale e sociale del tempo. Della loro irresistibile ascesa − che lasciò una traccia profonda nell’immaginario collettivo inglese − e dell’inevitabile declino narra oggi Legend (Gran Bretagna, 2015, 131’), il film fondato su una storia vera che il regista Brian Helgeland ha tratto dal libro di John Pearson The Profession of Violence: The Rise and Fall of the Kray Twins (1972).

Siamo all’inizio degli anni Sessanta, e la capitale britannica sta vivendo il suo momento magico. Nell’aria brillano le luci e risuonano i ritmi della Swinging London, ma oscure tensioni sociali si agitano dietro l’apparente allegria delle strade brulicanti di vita. Nell’East End − quartiere proletario di Londra − i gemelli Kray impongono la loro legge con la violenza e l’intimidazione.

Reggie e Ronnie − ai quali dà vita un Tom Hardy semplicemente straordinario − sono due gemelli, perfettamente complementari. L’uno − Reggie − è affascinante, intelligente, privo di paure, coi nervi saldi e un istinto infallibile per gli affari; l’altro − Ronnie − è invece oscuro, violento, privo di senso del giudizio o del limite (anche nel modo di vivere la sua conclamata omosessualità): un paranoide schizofrenico, la cui pazzia lo rende ancora più assetato di sangue. Disperatamente in cerca di rassicurazioni, e incapace di discriminare e di riconoscere le differenze − come lo descrisse il medico dell’ospedale psichiatrico che lo ebbe in cura e che, minacciato da Reggie, lo fece dimettere −, Ronnie galleggia da sempre nel caos della propria mente, mentre Reggie si muove nel tentativo di afferrarlo e riportarlo all’ “ordine” del loro precario equilibrio familiare, come se fosse un aquilone sfuggito alla presa. Ma proprio mentre i due gangster dell’East End stanno per fare il grande salto alla conquista di Londra − una città segnata da confini marcati e teatro di una violenta guerra fra bande, nonché oggetto d’interesse della mafia italo-americana −, la dinamica fra i gemelli Kray entra in una più complessa relazione dialettica, perché è turbata dall’ingresso nella vita di Reggie di Frances Shea (Emily Browning).

È amore a prima vista fra Reggie e Frances. Sognatrice e fragile, con un passato di depressione alle spalle, ma determinata e sicura del suo amore, Frances sente che con Reggie potrà essere felice, a patto di riuscire ad aiutarlo a «rigare dritto» e soprattutto ad allontanarlo dall’imprevedibile fratello e dall’aspetto più cupo della vita da gangster. Ma scoprirà presto e a sue spese che Reggie − oltre a un gemello oscuro − ha anche a un «doppio» tenebroso che abita in lui: non è solo l’uomo innamorato e sensibile che le ha aperto il suo cuore o l’affascinante proprietario di locali alla moda, amante del «bel mondo» col quale ama confondersi; Reggie è anche un gangster freddo, calcolatore e, quando serve, spietato.

Efficacemente sorretto dalla fotografia dai colori pastello tipica del cinema inglese (curata da Dick Pope) e dal ritmo avvincente che tiene lo spettatore inchiodato allo schermo (anche grazie alla colonna sonora di Carter Burwell), Helgeland porta in scena un mondo oscuro − ma dai tratti anche bizzarri −, popolato da loschi personaggi (delinquenti e aristocratici), senza lesinare violente risse a mani nude, sangue, perversioni di ogni tipo e omicidi a sangue freddo. Ma oltre a questo elementare livello narrativo ve ne è un altro profondo, che Helgeland affida alla figura non certo marginale (il film è scritto e girato dal suo punto di vista) di Frances e alla sua irruzione nella storia dei due fratelli, che minaccia seriamente − come Ronnie, con la sua gelosia, pare intuire fin da subito − l’ordine interno alla famiglia Kray, centrato sulla figura − tratteggiata sullo sfondo, ma determinante − di Violet (Jane Wood), la madre dei gemelli.

Vediamo così emergere e divenire il centro del film il tema del «doppio», rappresentato dalla dialettica fra il «gemello-oscuro» (Ronnie) e il «gemello-luminoso» (Reggie), con il primo che cerca continuamente di ostacolare l’azione ordinatrice e civilizzatrice del secondo. Ma la lacerazione è contemporaneamente − come si vede in Reggie − il castigo di Dio, e riguarda la condizione intima del singolo condannato a vivere una vita spezzata, a meno che non intervenga «un’incrinatura nella realtà» che consenta all’individuo di ritrovare il contatto con se stesso. Reggie sa che la possibilità di quella apertura nella sua vita è Frances, e lo ammette apertamente quando afferma: «Amarti è l’unica cosa che mi tiene insieme». Ma anche Frances ha un «doppio» − vive cioè un’esistenza spezzata fra un passato di depressione e un presente di amore che quel passato vorrebbe cancellare −, e sarà la sola che alla fine troverà, tragicamente, il modo per recuperare la propria unità perduta.

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