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Licenziamenti individuali (Circolare della FONDAZIONE STUDI CDL)

 

ART. 13 – Modifiche alla legge 15 luglio 1966, n. 604

 

Forma e procedure del licenziamento individuale

Attualmente il datore di lavoro non ? obbligato ad indicare nella comunicazione di licenziamento individuale i motivi del recesso. E? il lavoratore che ha facolt? di chiedere tali motivi entro 15 giorni dalla ricezione del licenziamento, ed in tal caso il datore deve comunicarli per iscritto entro sette giorni dalla richiesta (art. 2, c. 2, legge n. 604/1966).

Peraltro, questo meccanismo – previsto dalla legge n. 604/1966 – riguarda soprattutto i licenziamenti per giustificato motivo oggettivo. Infatti, per quelli disciplinari l?obbligo della contestazione preventiva dell?addebito (introdotto nel 1970 dall?art. 7 dello Statuto dei lavoratori) determina che il datore di lavoro sin dall?inizio della procedura disciplinare deve comunicare al lavoratore le ragioni del licenziamento. Tant?? che al termine del procedimento disciplinare il licenziamento si pu? limitare a richiamare la contestazione, anche senza riportarne il contenuto.

Con la riforma, invece, si stabilisce che “la comunicazione del licenziamento deve contenere la specificazione dei motivi che lo hanno determinato” (art. 13, c. 1). Ci? comporta che anche il licenziamento per motivo oggettivo (o “economico”) deve essere immediatamente motivato nella comunicazione del recesso. Tale motivazione, inoltre, deve essere “specifica”, cio? completa e dettagliata, non essendo sufficiente una mera ripetizione della formula legislativa (cio? le “ragioni inerenti all?attivit? produttiva, all?organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”: art. 3, legge n. 604/1966).

La seconda novit? comporta un ritocco del termine di decadenza previsto dal c.d. Collegato lavoro (legge n. 183/2010) per depositare il ricorso presso la cancelleria del Tribunale competente. Attualmente, ? previsto un termine di 270 giorni che decorre dalla impugnativa del recesso da parte del lavoratore (art. 6 c. 2 della legge n. 604/1966, come modificato dall?art. 32 del Collegato lavoro); tale termine viene ridotto a 180 giorni che decorrono sempre dallo stesso momento, cio? da quando il lavoratore consegna a mano o spedisce l?impugnativa extragiudiziale.

 

Tentativo obbligatorio di conciliazione nel caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo

La riforma introduce un tentativo obbligatorio di conciliazione preventivo nell?ipotesi in cui si intende effettuare un licenziamento per giustificato motivo oggettivo (art. 13, c. 4), a carico soltanto dei datori di lavoro che rientrano nell?ambito della tutela reale (in base ai requisiti dimensionali stabiliti dal c. 8 del nuovo art. 18).

In tal caso, il datore di lavoro deve effettuare una comunicazione alla Direzione territoriale del lavoro del luogo ove lavora il dipendente, inviata per conoscenza anche allo stesso lavoratore.

Nella comunicazione il datore deve dichiarare l?intenzione di procedere al licenziamento per motivo oggettivo e indicarne i motivi, nonch? le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore. La Direzione territoriale del lavoro deve convocare il datore di lavoro ed il lavoratore entro il termine perentorio di 7 giorni dalla ricezione della richiesta e l?incontro si svolge innanzi alla Commissione provinciale di conciliazione di cui all?art. 410 c.p.c. Le parti si possono far assistere dalle organizzazioni sindacali cui sono iscritte o conferiscono mandato, ovvero da un avvocato o consulente del lavoro.

Durante la procedura le parti esaminano eventuali soluzioni alternative al recesso con l?ausilio della Commissione. Se la conciliazione ha esito positivo e prevede la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro, trovano applicazione i nuovi ammortizzatori sociali previsti dalla riforma (art. 23 c. 2), e pu? essere previsto l?affidamento del lavoratore ad un?agenzia di somministrazione per il lavoro (ex art. 4, c. 1, lett. a) e b), d.lgs. n. 276/2003).

La procedura in esame si conclude entro 20 giorni da quando la Direzione territoriale del lavoro ha trasmesso la convocazione per l?incontro, fatta salva la possibilit? per le parti di concordare un prolungamento dei termini finalizzato al raggiungimento di un accordo conciliativo.

Se fallisce il tentativo di conciliazione, o comunque se la Direzione territoriale del lavoro non convoca le parti entro il termine di 7 giorni dalla ricezione della comunicazione del datore di lavoro, questo pu? comunicare il licenziamento al dipendente rispettando comunque il termine del preavviso.

In caso di successivo giudizio sul licenziamento, il comportamento complessivo delle parti, desumibile anche dal verbale redatto in sede di Commissione provinciale di conciliazione viene valutato dal giudice per la determinazione dell?indennit? risarcitoria di cui al nuovo art. 18, c. 7, e per l?applicazione degli artt. 91 e 92 del codice di procedura civile in materia di condanna alle spese del giudizio. In questa ottica, il giudice terr? conto della proposta conciliativa avanzata dalla medesima Commissione, e non accolta da una o da entrambe le parti.

 

ART. 14 – Tutela del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo

 

Licenziamento inefficace (in forma orale)

Il licenziamento ? inefficace in alcune ipotesi ben definite, cui corrispondono attualmente diversi regimi sanzionatori.

La prima ipotesi ? quella del licenziamento intimato in forma orale, che determina l?inefficacia del recesso e conseguentemente l?applicazione dell?art. 18 dello Statuto dei lavoratori per i datori di lavoro ad esso sottoposto ovvero l?applicazione del regime di diritto comune dell?atto inefficace per gli altri datori di lavoro.

La seconda ipotesi – che determina l?applicazione della medesima sanzione del licenziamento verbale – si verifica quando il datore di lavoro non comunica per iscritto i motivi del licenziamento entro 7 giorni dalla richiesta (art. 2 c. 2 legge n. 604/1966).

La terza ipotesi ? quella in cui viene violata la procedura disciplinare di cui all?art. 7 dello Statuto dei lavoratori: in questo caso la giurisprudenza applica la c.d. sanzione d?area, cio? la tutela prevista per la mancanza di motivazione del recesso in base alla dimensione aziendale.

La riforma (all?art. 18 c. 6) ritocca tale disciplina, distinguendo il licenziamento verbale da quelle ipotesi in cui si verifica semplicemente un vizio di forma o di procedura, che la legge considera meno grave e quindi punisce con una sanzione attenuata. a) Nel caso di licenziamento in forma orale si applica il medesimo regime sanzionatorio del licenziamento discriminatorio o contrario alla legge (art. 18, c. 1), che corrisponde alla tutela reale attualmente prevista dall?art. 18 cio? la reintegrazione ed il risarcimento del danno per tutto il periodo di estromissione (v. infra).

b) Le altre ipotesi di licenziamento inefficace prese in esame dalla nuova norma si verificano in caso di violazione:

– del requisito di motivazione obbligatoria introdotto dall?art. 13 c. 1 del disegno di legge;

– della procedura disciplinare di cui all?art. 7 dello Statuto dei lavoratori;

– della procedura di cui all?art. 7 della legge n. 604/1966, come modificato dalla riforma.

In tutti questi casi il licenziamento inefficace produce i suoi effetti, cio? estingue il rapporto di lavoro (? quindi, in realt?, un licenziamento efficace), ma il lavoratore ha diritto ad un?indennit? risarcitoria omnicomprensiva determinata tra un minimo di 6 ed un massimo di 12 mensilit? dell?ultima retribuzione globale di fatto, in relazione alla gravit? della violazione formale o procedurale commessa dal datore di lavoro (il giudice ? tenuto a specificare i criteri che ha utilizzato per determinare nel caso concreto la misura dell?indennit?). Peraltro, ? ovvio che se sulla base della domanda del lavoratore il giudice accerta che vi ? anche una carenza sostanziale del licenziamento, la tutela applicata sar? quella prevista dal medesimo art. 18 per la mancanza di giusta causa o giustificato motivo soggettivo o oggettivo.

 

Licenziamento nullo (discriminatorio e contra legem)

Attualmente nel caso di licenziamento discriminatorio la legge prevede sempre l?applicazione della tutela reale, a prescindere dalla dimensione del datore di lavoro (art. 3 legge n. 108/1990).

Il nuovo art. 18, c. 1, prevede una disciplina sanzionatoria unica per i licenziamenti nulli in quanto intimati:

a) per motivi discriminatori ai sensi dell?art. 3 della legge n. 108/1990;

b) in concomitanza col matrimonio ai sensi del d.lgs. n. 198/2006 (art. 35);

c) in violazione dei divieti di licenziamento stabiliti dalla disciplina che tutela la maternit? e la paternit? (art. 54, c. 1, 6, 7 e 9, d.lgs. n. 151/2001);

d) in ogni altro caso di nullit? previsto dalla legge o determinato da un motivo illecito determinante ai sensi dell?art. 1345 cod. civ.

In tutti questi casi la norma stabilisce che il lavoratore, anche se dirigente, ha diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro (ed ovviamente a prescindere dal motivo formalmente addotto dall?imprenditore). Se il dipendente licenziato non intende rientrare in azienda, ha diritto – in alternativa alla reintegra – ad un?indennit? pari a 15 mensilit? dell?ultima retribuzione globale di fatto, sulla quale non sono dovuti i contributi previdenziali.

A differenza di quanto accade oggi, la nuova norma (art. 18 c. 3) stabilisce espressamente che la richiesta dell?indennit? sostitutiva della reintegra “determina la risoluzione del rapporto di lavoro”, in qualunque momento sia effettuata (quindi anche prima o durante il giudizio). Ne deriva che se il lavoratore dichiara di non volere la reintegrazione, preferendo l?indennit? sostitutiva, il risarcimento del danno non sar? pi? dovuto sino alla effettiva reintegra bens? sino al momento in cui ? stata richiesta l?indennit? sostitutiva (che, come detto, coincide con la cessazione del rapporto). Dopo la conclusione del giudizio, la richiesta dell?indennit? deve essere effettuata entro 30 giorni dalla comunicazione del deposito della sentenza, ovvero dall?invito del datore di lavoro a riprendere servizio, se anteriore alla predetta comunicazione.

Oltre alla reintegrazione (od alla indennit? sostitutiva), il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno pari ad un?indennit? commisurata all?ultima retribuzione globale di fatto maturata dal giorno del licenziamento sino a quello dell?effettiva reintegrazione (art. 18, c. 2). Da tale indennit? pu? essere dedotto quanto il lavoratore abbia eventualmente percepito nel periodo di estromissione per lo svolgimento di altre attivit? lavorative (c.d. aliunde perceptum). Secondo la giurisprudenza, l?onere della prova dell?aliunde perceptum spetta al datore di lavoro che intende ridurre l?entit? del risarcimento. In ogni caso, la misura del risarcimento non pu? essere inferiore a 5 mensilit? della retribuzione globale di fatto. Infine, il lavoratore ha diritto al versamento dei contributi previdenziali da parte del datore di lavoro per tutto il periodo di estromissione.

Alla luce di quanto detto, si pu? affermare che la disciplina del licenziamento discriminatorio non subisce sostanziali modificazioni rispetto a quella vigente, poich? l?attuale art. 3 della legge n. 108/1990 stabilisce l?applicabilit? della reintegra e del relativo risarcimento a prescindere dalla dimensione aziendale.

 

Licenziamento per motivo soggettivo (o disciplinare)

Nel caso di licenziamento disciplinare la nuova disciplina prevede due diversi regimi sanzionatori:

uno con la reintegrazione nel posto di lavoro ed il risarcimento del danno; l?altro soltanto con il risarcimento del danno.

a) La prima ipotesi (art. 18, c. 4) si ha quando il giudice accerta la mancanza della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo, per l?insussistenza dei fatti contestati ovvero perch? il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni della legge, dei contratti collettivi o dei codici disciplinari applicabili.

In questo caso, il licenziamento viene annullato dal giudice e il lavoratore ha diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro (od alla relativa indennit? sostitutiva pari a 15 mensilit?). A seguito dell?ordine di reintegrazione, il rapporto di lavoro si intende risolto se il lavoratore non riprende servizio entro 30 giorni dall?invito del datore di lavoro, salvo il caso in cui abbia chiesto l?indennit? sostitutiva della reintegrazione (che determina immediatamente la risoluzione del rapporto stesso).

Il lavoratore ha diritto, poi, ad un?indennit? risarcitoria commisurata all?ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell?effettiva reintegrazione. La norma prevede che da tale indennit? possa essere detratto quanto il lavoratore ha percepito durante il periodo di estromissione per lo svolgimento di altre attivit? lavorative (aliunde perceptum), ed anche quanto egli avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione (aliunde percipiendum). Infine, si prevede che in ogni caso la misura dell?indennit? risarcitoria non pu? essere superiore a 12 mensilit?.

Sul piano contributivo, il datore di lavoro ? condannato al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione, maggiorati degli interessi nella misura legale senza applicazione di sanzioni per omessa o ritardata contribuzione. Anche qui si prevede che l?importo dei contributi sia pari al differenziale contributivo esistente tra la contribuzione che sarebbe maturata nel corso del rapporto di lavoro interrotto dall?illegittimo licenziamento e quella accreditata al lavoratore in conseguenza dello svolgimento di altre attivit? lavorative. In quest?ultimo caso, se i contributi afferiscono ad altra gestione previdenziale, essi sono imputati d?ufficio alla gestione corrispondente all?attivit? lavorativa svolta in quel momento dal dipendente licenziato, con addebito dei relativi costi al datore di lavoro.

b) La seconda ipotesi (art. 18, c. 5) riguarda tutti gli altri casi, diversi da quelli di cui alla lett. a) che precede, in cui il giudice accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro.

In tal caso il licenziamento, anche se ingiustificato, ? comunque efficace ed il rapporto di lavoro viene dichiarato risolto dalla data dell?illegittimo recesso. Il lavoratore ha per? diritto ad un?indennit? risarcitoria omnicomprensiva determinata tra un minimo di 12 ed un massimo di 24 mensilit? dell?ultima retribuzione globale di fatto. Nel caso concreto, l?individuazione della misura di tale indennit? spetta al giudice il quale deve tenere conto dei seguenti elementi:

l?anzianit? del lavoratore; il numero dei dipendenti occupati; le dimensioni dell?attivit? economica; il comportamento e le condizioni delle parti. Al riguardo, la nuova norma prevede che il giudice ? obbligato a motivare sul punto, cio? ad indicare le modalit? di utilizzazione dei criteri legali per la determinazione della indennit? in questione.

 

Licenziamento per motivo oggettivo (o economico)

Anche nel caso di licenziamento per motivo oggettivo, come per quello disciplinare, la riforma prevede due diversi regimi sanzionatori: uno con la reintegrazione nel posto di lavoro ed il risarcimento del danno; l?altro soltanto con il risarcimento del danno.

a) La prima ipotesi riguarda i casi in cui in cui vi ? un difetto di giustificazione del licenziamento intimato: per inidoneit? psichica o fisica del lavoratore; per superamento del periodo di comporto;

per giustificato motivo oggettivo se ricorre la “manifesta insussistenza” del “fatto posto a base del licenziamento”.

La norma omette di considerare altre ipotesi analoghe, gi? note nell?esperienza giurisprudenziale, come ad esempio se vi ? un difetto di giustificazione del licenziamento intimato per la perdita dei requisiti necessari ad eseguire la mansione (permesso di soggiorno; patente di guida; porto d?armi;

tesserino doganale; etc.) ovvero per la carcerazione preventiva del lavoratore.

In queste circostanze il lavoratore ha diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro (od alla indennit? sostitutiva) ed al risarcimento del danno previsto dal quarto comma dell?art. 18, che comunque non pu? superare le 12 mensilit?.

b) La seconda ipotesi, invece, riguarda i casi in cui “non ricorrono gli estremi” del giustificato motivo oggettivo, cio? esso ? comunque insussistente ma in modo non “manifesto”.

La distinzione con l?ipotesi precedente non appare agevole. Si pensi, ad esempio, al caso in cui viene provata dall?imprenditore la crisi o la ristrutturazione aziendale, ma il singolo lavoratore licenziato non ? stato scelto in base a criteri di correttezza o buona fede oppure poteva essere collocato in altra posizione disponibile. Qui il “fatto” posto a base del licenziamento non ? soltanto la situazione organizzativa ma anche il nesso di causalit? con la posizione del lavoratore licenziato e l?impossibilit? di ricollocarlo: se non vengono rispettati tali criteri, per la giurisprudenza il giustificato motivo oggettivo potrebbe comunque risultare “manifestamente insussistente” nei confronti del soggetto licenziato.

Qui il lavoratore non ha diritto alla reintegrazione ma ad una indennit? risarcitoria omnicomprensiva determinata tra un minimo di 12 e un massimo di 24 mensilit? dell?ultima retribuzione globale di fatto. In tal caso il giudice ai fini della determinazione dell?indennit? tra il minimo e il massimo, tiene conto dei seguenti fattori: anzianit? del lavoratore; numero dei dipendenti occupati; dimensioni dell?attivit? economica; comportamento e condizioni delle parti;

iniziative assunte dal lavoratore per la ricerca di nuova occupazione; comportamento delle parti nell?ambito del tentativo obbligatorio di conciliazione previsto dal nuovo art. 7 della legge n. 604/1966.

Appare evidente che la distinzione tra casi di insussistenza manifesta e casi di insussistenza non manifesta – con valutazione affidata di volta in volta al giudice di merito – sar? foriera di nuove incertezza interpretative, con conseguenze dannose per entrambe le parti del giudizio. In questo caso, la soluzione preferibile sarebbe stata probabilmente quella di modulare la tutela in base alla dimensione aziendale, con un risarcimento crescente a scaglioni secondo il numero dei dipendenti occupati, sino (eventualmente) alla reintegrazione nel posto di lavoro nelle realt? aziendali di pi? grandi dimensioni (ad es. sopra i 100 dipendenti).

 

Il campo di applicazione dell?art. 18 e della tutela obbligatoria

Il nuovo art. 18 dello Statuto dei lavoratori ha il medesimo campo di applicazione del passato, poich? si applica soltanto al “datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che in ciascun sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo nel quale ha avuto luogo il licenziamento occupa alle sue dipendenze pi? di quindici lavoratori o pi? di cinque se trattasi di imprenditore agricolo, nonch? al datore di lavoro, imprenditore o non imprenditore, che nell?ambito dello stesso comune occupa pi? di quindici dipendenti ed all?impresa agricola che medesimo ambito territoriale occupa pi? di cinque dipendenti, anche se ciascuna unit? produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso al datore di lavoro, imprenditore e non imprenditore, che occupa pi? di sessanta dipendenti” (art. 18, c. 8).

Per tutti gli altri datori di lavoro, che occupano fino a 15 dipendenti nell?unit? produttiva o nel comune e comunque fino a 60 dipendenti complessivamente, continuano ad applicarsi le regole della c.d. tutela obbligatoria di cui alla legge n. 604/1966.

La riforma precisa che i lavoratori a tempo parziale si computano per la quota di orario effettivamente svolto, tenendo conto che per essi il calcolo “fa riferimento all?orario previsto dalla contrattazione collettiva del settore”. Inoltre, non si computano il coniuge ed i parenti del datore di lavoro entro il secondo grado in linea diretta e in linea collaterale.

 

La revoca del licenziamento

Attualmente il datore di lavoro non pu? revocare unilateralmente il licenziamento gi? intimato, poich? con la ricezione l?atto si perfeziona ed il lavoratore pu? azionare le tutele previste dalla legge. Pertanto, anche se interviene immediatamente la revoca e il soggetto licenziato viene invitato a tornare in azienda, egli pu? riprendere servizio e chiedere il risarcimento del danno minimo (5 mensilit?) ovvero intentare un contenzioso per ottenere quanto previsto dalla legge.

La riforma, invece, stabilisce che il datore di lavoro pu? revocare il licenziamento entro 15 giorni dalla ricezione dell?impugnativa effettuata dal lavoratore, ed in tal caso il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuit? (con l?ovvio diritto del dipendente alla retribuzione maturata nel periodo precedente alla revoca). Se, invece, la revoca interviene dopo il decorso del termine di 15 giorni, le conseguenze saranno identiche a quelle che si verificano attualmente.

 

LICENZIAMENTI COLLETTIVI

 

ART. 15 – Modifiche alla legge 23 luglio 1991, n. 223

In materia di licenziamento collettivo, la riforma prevede una serie di modifiche agli articoli 4 e 5 della legge n. 223/1991.

La novit? pi? significativa ? la modifica del regime sanzionatorio in caso di vizi del licenziamento collettivo. Attualmente, sia il vizio della procedura che quello relativo ai criteri di scelta determina l?applicazione dell?art. 18 dello Statuto dei lavoratori e quindi la reintegrazione in servizio ed il risarcimento del danno commisurato a tutte le retribuzioni dal licenziamento sino alla effettiva reintegra.

Le nuove regole, invece, prevedono quanto segue.

a) Se il licenziamento collettivo viene intimato verbalmente, le conseguenze sono identiche a quelle previste per il licenziamento individuale senza forma scritta, cio? la tutela piena costituita dalla reintegrazione e dal risarcimento del danno pari a tutte le retribuzioni per il periodo di estromissione.

b) Se vengono violate le procedure stabilite dall?art. 4 della legge n. 223/1991, richiamate dal c. 12 della medesima norma, si applica il regime di cui al settimo comma dell?art. 18, cio? l?alternativa tra la reintegrazione con il risarcimento ovvero soltanto il risarcimento a seconda che vi sia la “manifesta insussistenza” del fatto posto a base del licenziamento ovvero semplicemente che non “ricorrano gli estremi” del motivo di recesso.

c) Se vengono violati i criteri di scelta previsti dall?art. 5 della legge n. 223/1991 si applica il regime di cui al quarto comma dell?art. 18, cio? la reintegrazione ed un risarcimento del danno non superiore alle 12 mensilit? di retribuzione globale di fatto.

In tutti i casi, per l?impugnazione del licenziamento collettivo trova applicazione l?art. 6 della legge n. 604/1966, sicch? il lavoratore deve rispettare il doppio termine di decadenza che prevede l?impugnativa stragiudiziale nei 60 giorni dalla ricezione della comunicazione e il deposito del ricorso nei 270 giorni (ridotti a 180 giorni dal disegno di legge: art. 13 c. 2) che decorrono dalla impugnativa.

La seconda novit? di rilievo consiste nel fatto che gli eventuali vizi della comunicazione di cui all?art. 4 c. 2 della legge n. 223/1991 “possono essere sanati, ad ogni effetto di legge” mediante l?accordo collettivo che viene stipulato durante la procedura di licenziamento collettivo. In pratica, tale disposizione sancisce il principio, gi? invalso nella giurisprudenza, secondo cui la conclusione dell?accordo sindacale durante la procedura di licenziamento collettivo supera eventuali difetti formali della procedura medesima, ed in particolare della comunicazione da cui prende avvio il confronto sindacale.

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Infine, attualmente il datore di lavoro “contestualmente” all?intimazione dei licenziamenti, deve comunicare per iscritto ai competenti uffici pubblici, nonch? ai sindacati aziendali o, in mancanza, a quelli aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative l?elenco dei lavoratori licenziati con una serie di dati individuali e con l?indicazione delle modalit? con le quali sono stati applicati i criteri di scelta (art. 4 c. 9 legge n. 223/1991). La riforma prevede che tale comunicazione debba essere effettuata dal datore di lavoro “entro sette giorni dalla comunicazione dei recessi”.