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Bruxelles 22 marzo 2016

Diario Europeo n. 25

Bruxelles-Plantu_lg

Questa è la pagina di Diario europeo che non avrei mai pensato di dover scrivere.

Sì anche per me, Maelbeek è stata per anni la stazione di “casa”, negli andirivieni da e verso le Istituzioni della Unione Europea. Ma non è certamente questa personale vicinanza ai luoghi che determina la fortissima preoccupazione ed anche angoscia. Mentre mi accingo al compito sono ancora alla ricerca del metodo. Mi immergerò, senza paraocchi e senza un ordine, nel buco scavato dalle bombe, umane e non[1].

(una istantanea)

Il pericolo dell’abitudine. Europa sotto attacco. Bloodbath in Brussels. Darkness in hearth of Europe. I nichilisti e l’argine dei valori. Le colpe dei governi indecisi. Una nuova coalizione per sconfiggere il terrore. Non facciamoci fermare dal mostro della paura. “Stuck”, bloccati. Possono colpirci sempre, siamo pronti al macello. Siamo in guerra, dobbiamo essere ancora più attenti nella vigilanza. Troppo buonismo, adesso la risposta deve essere militare. Abbiamo reagito tardi, la radice dell’odio è nell’apartheid sociale. Il filo spinato non serve, bisogna lavorare sui loro conflitti interni. Questo è il terrorismo della porta accanto.

(filo di Arianna)

Le nostre vite oltre la paura. I commissari hanno avuto la consegna di farsi vedere nei corridoi degli uffici della Commissione, per incoraggiare tutti. Il cuore ferito della città simbolo diventata ora la capitale di tutta l’Europa. Colpiscono il Belgio perché ormai somiglia ad uno stato fallito. Non si può affidare la sua sicurezza solo al governo belga e alle sue polizia rionali. La disfatta della polizia belga divisa in sei e senza un piano. “Dobbiamo trovare il coraggio di affrontare la minaccia, non rassegnarci a sperare che anche la prossima volta non tocchi a noi. Dobbiamo ricordarci cosa significhi essere cittadini, persone responsabili che non perdono la testa, non perdono la dignità ma non abbassano gli occhi per non vedere cosa succede 300 metri più in là” (Mario Calabrese). “Da un lato occorre sicuramente un grosso impegno delle forse di sicurezza, della polizia, dell’intelligence. Ma dall’altro occorre una fermezza politica e sociale a non farsi corrompere dalla minaccia, non rinunciare ai valori liberali e libertari della nostra civiltà, non criminalizzare che sembra diverso. Il terrorismo, nel lungo termine, non può vincere. Ma la nostra reazione, il nostro sistema per combatterlo, contribuiscono a determinare quanto durerà” (Hanif Kureishi). “Per porre fine all’ambiguità e operare con la necessaria trasparenza occorre mettere in atto una strategia che va oltre i confini dell’Europa. Non è un obiettivo impossibile perché Stati Uniti, Cina, Russia ed Europa sono in ugual modo sotto minaccia. Non vedo però nascere il senso di emergenza che è necessario assumere in questi frangenti” (Romano Prodi).

(L’altra faccia della medaglia)

“Scriveranno che l’Europa è in guerra, con se i paesi europei e l’intero Occidente non fossero davvero da due decenni in guerra in Afghanistan, Iraq, Libia e in Siria, con centinaia di migliaia di vittime e tante, troppo stragi di civili (…). Si ferma lo Stato islamico solo togliendogli sotto i piedi il terreno fertile della guerra e dell’odio. Basta maledette guerre, dunque, cominciando a risolvere le crisi, come quella israelo-palestinese, che restando aperte come voragini, sono brace sotto la cenere che riscalda le basi identitarie dello jihadismo armato. Ed è possibile, come dimostra l’accordo Usa con l’Iran” Tommaso Di Francesco).

(le decisioni urgenti, necessarie e possibili)

Nel Diario del 29 novembre 2015 – reagendo ad uno dei rintocchi della campana che suona per Europa – abbiamo indicato i tre punti essenziali tutti di ordina strettamente comunitario alla portata dei Governi e dei Parlamenti degli Stati membri:

  • La cooperazione, obbligatoria, tra le polizie e i servi di intelligence
  • La presa in carico a livello europeo delle frontiere esterne alla Unione
  • La politica estera e della sicurezza comune, ma non più a parole.

Oggi, dai Governi più sensibili e più consapevoli arrivano altre richieste e proposte come quella di una Struttura europea dell’antiterrorismo.

(un seme di futuro)

Il “triste ritorno” che oggi hanno vissuto le famiglie colpite dalla tristissima tragedia della morte delle stupende “ ragazze d’Europa” nell’incidente in Spagna – nel quadro ancora più tragico delineatosi a Bruxelles- può diventare il seme di speranza e di futuro. Sì, una morte ingiusta e creatrice di tanto dolore, lo spezzarsi di queste vite sono lì a ricordarci che c’è chi ora sta costruendo non solo il futuro del nostro Paese nel progetto di Europa Unita, ma anche aprendo la strada per tutti, da percorrere con testarda, positiva volontà. “Non andate in Europa”: è il messaggio lanciato con forza dai vari Travel warming. E, invece, sì: migliaia di ragazze e ragazzi che in questi anni hanno frequentato le università nei Paesi dell’Unione Europea – in parte finanziato con il programma Erasmus- sono stati creatori di un vero e proprio salto culturale. Una parte di quelle generazioni oggi è classe dirigente dei loro paesi. Un terzo degli studenti Erasmus ha conosciuto il partner durante l’esperienza all’estero; la Commissione ha calcolato che da queste coppie, a partire dal 1987, sia nato un milione di bambini. Europa non si costruisce nelle cancellerie di mitici diplomatici degli stati. A queste ragazze diamo un abbraccio commosso. Grazie infinite. Grazie di cuore. La mia generazione si inchina davanti a voi e non vi dimenticherà!

[1] Offrirò un affresco della cacofonia delle voci, scusandomi di non citare nomi e pubblicazioni.

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