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Il disegno di legge sul mercato del lavoro realizzato dal governo e frutto di una non facile negoziazione, sembra non aver risolto i temi principali sul tavolo, dalle forme contrattuali, alla governance delle politiche del lavoro, all’adeguamento al nuovo modello del lavoro che la societ? digitale richiede. Ci si aspetta che almeno quest’ultimo punto sia indirizzato nell’Agenda Digitale Italiana, in preparazione e in attesa di una prossima reale e innovativa riforma del lavoro
I temi irrisolti o elusi
L’opinione diffusa ? che il disegno di legge partorito dal governo sia un passo avanti nella riforma del mercato del lavoro, ma troppo timido per poter sortire effetti significativi e, aggiungo, troppo elusivo sui temi della governance e del (nuovo) modello del lavoro. Gli elementi di timidezza sono quelli denunciati, ad esempio, da coloro che sono stati tra i promotori del ?contratto unico? (Tito Boeri e Pietro Garibaldi): rimane il dualismo tra contratti a tempo indeterminato e contratti a tempo determinato e di collaborazione. Piuttosto che cercare di comprendere in che modo realizzare il ?contratto unico?, si ? preferito passare ad un primo sfoltimento dei tanti tipi di contratto precario, ma senza affrontare fino in fondo il tema della forma del ?rapporto subordinato?, chiaramente distinto da quello di consulenza, indipendente. Il risultato ? che la giungla dei contratti di fatto rimane e che si apre una difficile disputa tra istituzioni, imprese (e lavoratori) per dirimere le false dalle vere consulenze.
Ma sono gli elementi di elusione dei problemi che destano le maggiori preoccupazioni, soprattutto sui temi del modello del lavoro e della governance:
– dal punto di vista del modello del lavoro, rimane sostanzialmente non scalfito il concetto tayloristico per cui il lavoro si misura in ore e non in risultati. I ?lavoratori della conoscenza? rimangono legati a modalit? organizzative del tutto sorpassate, e in tutte le organizzazioni continuano a ?timbrare?, lasciando che il passaggio del badge ai tornelli stabilisca la giusta durata della loro attivit?. Per i dipendenti della pubblica amministrazione il tornello ? diventato emblema della ?fine dei privilegi?, misurando con la presenza la produttivit?, e l’idea di uno sviluppo del telelavoro continua a terrorizzare manager privati e pubblici. Il telelavoro non significa, infatti, solo una nuova modalit? flessibile di lavoro a distanza per chi non ha necessit? di svolgere tutte le attivit? lavorative in sede, ma un nuovo modo di concepire il lavoro, l’organizzazione, il territorio, la mobilit?. Ancora una volta, non ? un problema tecnologico. Eppure, nulla di tutto questo ? argomento della riforma;
– dal punto di vista della governance, rimane insoluto il tema di chi debba gestire le politiche attive sul territorio, l’incontro tra domanda e offerta di lavoro e tra sistema educativo e sistema economico (nell’attuale situazione di estrema confusione sul futuro delle province, chi deve erogare i servizi per l’impiego?). Eppure, questo ? uno dei nodi principali da presidiare per poter intervenire sia in modo preventivo sulla preparazione delle competenze richieste, sia per facilitare l’evoluzione delle professionalit?, sia per realizzare quella rete che ? alla base della possibilit? di definizione del ?reddito minimo garantito? di cui molto si ? parlato nei mesi scorsi. Ci sono diverse ipotesi in campo, ma nel disegno di legge governativo non sono presenti scelte.
Semi di discussione per il futuro del lavoro
Il circolo virtuoso dello sviluppo (vedi ad esempio il progetto condotto da Trento RISE e presentato al convegno organizzato il 19 e 20 aprile da Open Opportunity) prevede che un nodo cruciale sia costituito dalla capacit? di domanda di innovazione da parte dei cittadini e dalla possibilit? della loro partecipazione allo sviluppo dei servizi (in ottica di ?prosumer?, all’interno di laboratori territoriali). Ed ? un circolo che si nutre dello sviluppo delle competenze della comunit?. Il lavoratore ? elemento attivo e fondamentale dell’innovazione, le comunit? e i territori sono i luoghi (reali e virtuali) in cui si sviluppa. Questi non sono concetti nuovi.?Domenico De Masi, nel suo libro ?Il futuro del lavoro? del 1999, affermava, tra l’altro, come fosse ineludibile il passaggio radicale verso un modello di lavoro basato sulla creativit? e la motivazione, la gestione del tempo e la responsabilizzazione sui risultati. In effetti ? quello che sta avvenendo. Il lavoro si trasforma, i lavoratori si trasformano (e si moltiplicano i ?nomadic worker?), ma il sistema normativo e di governance rimane fermo, o comunque si muove con estrema lentezza. Nel 2015 il 90% dei lavori richieder? l’utilizzo di tecnologie digitali e in Europa saranno necessari da 400.000 a 700.000 nuovi professionisti Ict. Questo significa che la trasformazione del mondo del lavoro continua ad essere sempre pi? rapida, nuovi lavori e nuovi lavoratori si affacciano sul mercato, che chiedono soprattutto riconoscimento di valore e flessibilit? adeguata alle nuove modalit?. La trasformazione non ? individuale, ha un impatto radicale sulle forme organizzative, in cui la predominanza della gerarchia ? un retaggio del passato, inservibile. E se ? vero che l’eccellenza e la qualit? rappresentano gli elementi di competitivit? chiave per l’Europa e soprattutto per l’Italia, ecco che lo sviluppo delle competenze e delle reti di professionalit? rappresenta l’elemento strategico competitivo per l’economia del futuro. Un tema ancora pi? cruciale in Italia, dove la situazione di arretratezza sul fronte delle competenze digitali ? ancora molto consistente e quasi il 40% degli adulti non ha mai usato un computer (contro una media europea del 22%). Per questo ci vuole una visione forte e ampia di quello che vogliamo sia la nostra societ? nei prossimi anni, e? una capacit? strategica che integri esigenze e prospettive su pi? aree e settori e basata su un nuovo approccio, imperniato sui concetti di ?openness? (intesa come modello collaborativo di produzione e di conoscenza) e ?centralit? territoriale?. In questo, l’ottica da seguire non ? di rendere il sistema educativo funzionale alle esigenze delle aziende (in senso ancora tayloristico, concependo le persone come risorse della macchina produttiva) ma di rendere lo sviluppo delle competenze elemento chiave della crescita del Paese e stimolo all’innovazione di impresa.
Affrontare questo scenario con vecchi strumenti ?, invece, perdente, come ad esempio ridurre la spesa pubblica degli enti locali con interventi di blocco del turn-over, che finiscono solo per penalizzare i progetti di miglioramento e la riorganizzazione del personale. ? necessario cos? operare nel mercato del lavoro cambiando modello, acquisendo consapevolezza dell’importanza fondamentale della rete che deve essere costruita sul territorio ?legando fortemente gli orientamenti e le scelte programmatiche al tessuto imprenditoriale ed economico del territorio?, come afferma il presidente della provincia di Torino Saitta, definendo con quale governance attuare la strategia, ed il ruolo da attribuire alle autonomie locali, e alle province tra queste. Sfumata, nel breve, la possibilit? che questo tema sia affrontato compiutamente in una riforma del mercato del lavoro, diventa pertanto essenziale per l’Agenda Digitale Italiana costruire una strategia che concepisca il cambiamento del modello di lavoro come uno degli snodi della trasformazione. Che ha bisogno di profonde discontinuit?.
Nello Iacono
fonte: www.egovnews.it