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Analisi dei contratti della riforma del lavoro

Analisi dei vari tipi di contratto previsti dal disegno di legge governativo sulla riforma del mercato del lavoro presentato al Senato con atto n. 3249. Analisi svolta dalla Fondazione Studi ?Consulenti del Lavoro con circolare n. 7 dell’11/4/12 e riguardante?le seguenti tipologie di contratto:

di apprendistato,

a termine,

in partecipazione,

di inserimento,

part-time,

intermittente,

accessorio

?FONDAZIONE STUDI CDL – Circolare 11 aprile 2012, n. 7

Atto Senato 3249 – Analisi dei Contratti

CONTRATTO DI APPRENDISTATO

La lettera a) dell?articolo 5 del DDL introduce la durata minima di sei mesi per l?avvio di un contratto di apprendistato, fatta salva la previsione dei cicli stagionali di cui all?art. 4, comma 5 del D.Lgs. 167/2011.

La lettera b) dispone che nella ipotesi di recesso del datore di lavoro al termine del periodo di formazione obbligatoria ai sensi dell?art. 2118 del c.c., nel periodo di preavviso “continua a trovare applicazione la disciplina del contratto di apprendistato”. Con questa disposizione si introduce una ingiustificata disparit? di trattamento per il lavoratore apprendista poich?, nonostante egli abbia terminato il periodo di apprendistato e raggiunta la qualifica, la legge prevede l?applicazione dei trattamenti economici e normativi del periodo precedente alla qualifica raggiunta seppure limitatamente al periodo di preavviso.

Con decorrenza dal 1 gennaio 2013, Il numero complessivo di apprendisti che un datore di lavoro potr? assumere, direttamente o indirettamente per il tramite delle agenzie di somministrazione di lavoro ai sensi dell’articolo 20, commi 3 e 4, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, non potr? superare il rapporto di 3 a 2 rispetto alle maestranze specializzate e qualificate in servizio presso il medesimo datore di lavoro. Cambia dunque, il rapporto tra lavoratori (dipendenti) qualificati e il numero di apprendisti in forza consentendo un aumento rispetto alla precedente disposizione (rapporto 1 a 1).

La lettera d) stabilisce che l?assunzione di nuovi apprendisti ? per? subordinata alla prosecuzione del rapporto di lavoro al termine del periodo di apprendistato, nei trentasei mesi precedenti la nuova assunzione, di almeno il cinquanta per cento (trenta per cento per i primi 36 mesi di vigenza della norma) degli apprendisti dipendenti dallo stesso datore di lavoro. Dal computo della predetta percentuale sono esclusi i rapporti cessati per recesso durante il periodo di prova, per dimissioni o per licenziamento per giusta causa.

Con questa disposizione si introduce un ingiustificato limite di accesso al contratto di apprendistato che si pone in contraddizione con la finalit? della riforma che lo individua come il principale contratto di ingresso nel modo del lavoro.

D?altronde, l?esistenza di un limite numerico rispetto alle maestranze specializzate gi? assicura un contenimento di eventuali abusi. L?introduzione di questo ulteriore limite rischia, per penalizzare l?azienda, di non consentire l?ingresso nel mondo del lavoro da parte dei giovani.

Complessivamente le modifiche apportate sono da ritenersi insufficienti per il vero sviluppo del contratto di apprendistato che in questi anni ? rimasto bloccato dall?eccessiva burocratizzazione della sua gestione, caratterizzata da una frammentata e disincentivante regolamentazione regionale.

 

CONTRATTO A TERMINE

In un quadro annunciato di riduzione delle tipologie contrattuali esistenti, la norma introduce sostanzialmente una nuova tipologia contrattuale costituita dal contratto a tempo determinato di durata non superiore a sei mesi per la quale trova applicazione una disciplina specifica.

Ad essa infatti, non si applica la causale che giustifica l?apposizione del termine (cd. causalone di cui all?art. 1, c. 1 del DLgs. 368/2001) e l?istituto della proroga di cui all?articolo 4 del medesimo decreto.

La nuova disposizione, inoltre, trova applicazione:

– per il primo contratto a termine e per la prima missione a termine nell?ipotesi di sottoscrizione di un contratto di somministrazione

– per qualunque mansione assegnata al lavoratore

– solo al primo contratto anche se per effetto della successione dei contratti la sommatoria del periodo di lavoro ? inferiore a sei mesi (esempio: 2 mesi + 1 mese, sul secondo contratto ? necessario indicare la causale giustificatrice) Ne consegue che qualora l?azienda avesse una esigenza, per il primo contratto a termine, di durata superiore a sei mesi, sarebbe tenuta a redigere il contratto apponendo da subito la causale che giustifica il termine.

Una ulteriore novit? riguarda l?aumento dei periodi di cui all?art. 5, comma 2 del D.Lgs. n. 368/2001 riferiti ai casi in cui il lavoratore svolga la prestazione oltre il termine fissato dal contratto: gli aumenti sono da venti a trenta giorni per il contratto di durata inferiore a sei mesi; da trenta a cinquanta giorni per i contratti di durata superiore.

Oltre all?aumento del periodo come sopra indicato, la norma prevede che prima della scadenza del contratto, il datore di lavoro faccia una comunicazione al Centro per l?impiego territorialmente competente, con modalit? fissate dal Ministero del Lavoro mediante decreto non regolamentare.

Sul punto, come chiarito dallo stesso Ministero del lavoro con la circolare 42/2002, la norma in origine si poneva l?obiettivo di regolamentare “l’ipotesi della prosecuzione del rapporto individuando un <periodo di tolleranza ove il rapporto di lavoro continui dopo la scadenza del termine inizialmente fissato o successivamente prorogato, il datore di lavoro deve corrispondere al lavoratore, per ogni giorno di continuazione, una maggiorazione della retribuzione nel caso in cui il rapporto prosegua per pi? di venti o trenta giorni, rispettivamente, per i contratti di durata inferiore o superiore a sei mesi, il contratto si considerer? a tempo indeterminato dalla scadenza dei predetti termini”.

La disposizione originaria voleva evitare, dunque, che una dimenticanza nella gestione amministrativa del contratto potesse dare luogo ad una sanzione sproporzionata (la trasformazione a tempo indeterminato del contratto) esclusivamente per aver lavorato pochi giorni dopo la scadenza del contratto.

La modifica legislativa che si inserisce in questo contesto giuridico non ? comprensibile nella sua finalit?.

Introdurre una comunicazione preventiva alla scadenza del contratto, oltre a prevedere l?ennesimo adempimento i cui obiettivi risultano poco chiari, modifica il significato originario della norma che si fonda, come detto, proprio sulla dimenticanza del termine da parte del datore di lavoro.

Di maggiore interesse per il contrasto della precariet? risultano gli interventi normativi all’articolo 5, comma 3 e comma 4-bis del D.Lgs. 368/2001 disposti dell?art. 3 del DDL di riforma.

Con riferimento al comma 3, sono stati aumentati a 60 giorni (per i contratti inferiori a sei mesi) e a 90 giorni (per i contratti superiori) i periodi da rispettare per le riassunzioni a termine senza che il successivo contratto venga considerato a tempo indeterminato.

Con riferimento al comma 4-bis, ? stato stabilito che “ai fini del computo del periodo massimo di trentasei mesi si tiene altres? conto dei periodi di missione aventi ad oggetto mansioni equivalenti, svolti fra i medesimi soggetti, ai sensi del comma 1-bis dell?articolo 1 e dei commi 3 e 4 dell?articolo 20 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276”.

La norma, dunque, innovando rispetto al passato, stabilisce che i rapporti a tempo determinato di durata non superiore a 6 mesi (privi di causale che giustificano il termine) e le missioni indipendentemente dalla loro durata, si computano – unitamente alle altre tipologie di lavoro a termine – ai fini del raggiungimento del limite dei 36 mesi. Ci? si verifica a condizione che i rapporti siano riconducibili alle stesse parti contrattuali e riguardino mansioni equivalenti.

L?art. 3, comma 3 del DDL, interviene modificando la legge n. 183/2010 in cui si fissano i termini per l?impugnativa della nullit? del termine e per l?avvio dell?azione giudiziaria.

L?intervento si ? reso necessario poich? secondo il ministero del lavoro “si corregge la stortura derivante dal fatto che oggi il lavoratore a termine coinvolto in una successione di contratti (entro il tetto legale di 36 mesi, comprensivi di proroghe e rinnovi) ? posto di fronte all?alternativa eccessivamente difficile, e in qualche modo lesiva del suo diritto di azione in giudizio nonch? della sua stessa dignit?, tra manifestare al datore di lavoro la volont? di impugnare il contratto a termine, di cui ritenga l?illegittimit?, entro 60 giorni dalla scadenza dello stesso, e rischiare cos? di mettere in crisi prematuramente il rapporto col datore di lavoro, oppure non fare nulla sperando in una stabilizzazione che non necessariamente giunger?, e perdere cos? per sempre la possibilit? di fare valere i propri diritti”.

Se da un lato l?azione legislativa appare supportata da una corretta motivazione, dall?altro lato, la modifica introdotta non risolve affatto la distorsione evidenziata dal legislatore ma si limita ad introdurre una ulteriore eccezione alle regole generali che producono confusione agli operatori del diritto.

Infatti, per ripristinare un giusto equilibrio di interessi tra le parti sarebbe stato sufficiente, nel caso di successione illecita dei contratti a termine tra lo stesso lavoratore e datore di lavoro (o azienda del gruppo), far decorrere i termini decadenziali di cui alla legge n. 183/2010, dall?ultimo contratto a termine stipulato tra le parti e non da ciascun contratto.

Peraltro, il comma 4 stabilisce che le nuove disposizioni “trovano applicazione in relazione alle cessazioni di contratti a tempo determinato verificatesi a decorrere dal 1? gennaio 2013”.

Nel consegue che si complicano in modo rilevante i termini decadenziali in vigore che, salvo ulteriori modifiche, sono i seguenti:

– fino al 31 dicembre 2011, si applicano i termini vigenti prima della riforma introdotta dalla legge n. 183/2010;

– dal 1 gennaio 2012 al 31 dicembre 2012, si applicano i termini stabiliti dalla riforma introdotta dalla legge n. 183/2010;

– dal 1 gennaio 2013, solo con riferimento alle azioni di nullit? del termine, si applicano i nuovi termini stabiliti dal DDL di riforma del mercato del lavoro Particolarmente rilevante ? la novit? di cui al comma 5, laddove si introduce una interpretazione autentica dell?art. 32 comma 5 legge n. 183/2010. L?indennit? risarcitoria, prevista nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilit? dell’ultima retribuzione globale di fatto, ristora l?intero pregiudizio subito dal lavoratore, ivi comprese le conseguenze retributive e contributive. Ne consegue, dunque, che il concetto di retribuzione globale di fatto ? sostituito da un concetto di totale costo a carico azienda eliminando i dubbi circa la imponibilit? o meno delle somme riconosciute a titolo risarcitorio.

 

ASSOCIAZIONE IN PARTECIPAZIONE

Anche in questo caso la chiave di lettura – esclusiva – ? data dall?intento di reprimere condotte elusive della legge dissimulanti rapporti di lavoro sostanzialmente subordinati ma privi delle garanzie connesse.

L?articolo 10 introduce sostanzialmente tre commi che modificano il contratto di associazione in partecipazione.

Il comma 1 prevede che “Qualora il conferimento dell?associato consista anche in una prestazione di lavoro, il numero degli associati impegnati in una medesima attivit? non pu? essere superiore a tre, indipendentemente dal numero degli associanti, con l?unica eccezione in cui gli associati siano legati da rapporto coniugale, di parentela entro il terzo grado o di affinit? entro il secondo. In caso di violazione del divieto di cui al presente comma, il rapporto con tutti gli associati si considera di lavoro subordinato a tempo indeterminato”.

La prima novit? consiste nella limitazione del numero degli associati in un?azienda: in particolare, gli associati sono limitati a tre unit? salvo che essi siano legati da rapporto coniugale, di parentela entro il terzo grado o di affinit? entro il secondo.

La norma si rivolge agli associati in partecipazione laddove il conferimento del contratto consiste “anche in una prestazione di lavoro”.

L?avverbio “anche” porta a ritenere che la norma trovi applicazione nei riguardi di associati che conferiscono sia lavoro sia capitale e lavoro. Per gli stessi motivi, la norma sembra rivolgersi anche nei riguardi di associati imprenditori che apportano il loro lavoro e che a loro volta si configurino anche datori di lavoro.

In caso di violazione del divieto del numero di associati, la norma dispone la presunzione assoluta secondo cui “il rapporto con tutti gli associati si considera di lavoro subordinato a tempo indeterminato”.

Pertanto, in base all?attuale stesura normativa all?azienda non ? consentita alcuna prova contraria, ponendo dubbi anche di legittimit? costituzionale.

Il comma 2 prevede che “I rapporti di associazione in partecipazione con apporto di lavoro instaurati o attuati senza che vi sia stata un?effettiva partecipazione dell?associato agli utili dell?impresa o dell?affare, ovvero senza consegna del rendiconto previsto dall?articolo 2552 del codice civile, si presumono, salva prova contraria, rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato”.

Le previsioni contenute nel secondo comma non introducono sostanziali novit? poich? riproduttive di quanto gi? desumibile dal testo in vigore e di principi gi? consolidati della giurisprudenza.

La violazione del comma 2 comporta la presunzione, salva prova contraria, che i rapporti di lavoro subordinato sia a tempo indeterminato.

Il comma 3 del medesimo articolo 10, abroga l?articolo 86, comma 2, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276; ne consegue che non trovano pi? applicazione, nei casi residuali in cui ? ammessa l?associazione in partecipazione, i requisiti di “effettiva partecipazione e adeguate erogazioni”.

 

CONTRATTO DI INSERIMENTO

La disposizione contenuta nell?articolo 4 del DDL di riforma abroga il contratto di inserimento disciplinato dagli articoli da 54 a 59 del D.Lgs. 276/2003.

? ammesso, tuttavia, l?avvio di nuovi contratti di inserimento fino al 31 dicembre 2012.

Al riguardo si segnala che ancora non ? stato diffuso il decreto del Ministero del Lavoro (il termine ? scaduto il 30 gennaio 2012) per l?assunzione agevolata delle donne ai sensi dell?articolo 54, lett. e) del D.Lgs. 276/2003 cos? come disciplinato dall?articolo 22, comma 3 della legge n. 183/2011 (legge di stabilit?).

La mancata emanazione del richiamato decreto rallenta sostanzialmente l’incremento dell?occupazione femminile.

 

CONTRATTO PART-TIME

Con riferimento al contratto a tempo parziale l?articolo 6 del DDL stabilisce che i contratti collettivi di qualsiasi livello possono stabilire “condizioni e modalit? che consentono al lavoratore di richiedere la eliminazione ovvero la modifica delle clausole flessibili e delle clausole elastiche”.

Con riferimento ai lavoratori del settore pubblico e del settore privato affetti da patologie oncologiche, la norma riconosce loro la facolt? di revocare il consenso rilasciato all?applicazione di clausole elastiche o flessibili.

 

CONTRATTO INTERMITTENTE

Con riferimento al campo di applicazione del contratto, l?art. 7, lett. a) e c) del DDL abroga la possibilit? di sottoscrivere il contratto nei seguenti casi:

– soggetti con meno di venticinque anni di et? ovvero lavoratori con pi? di quarantacinque anni di et?, anche pensionati;

– per prestazioni da rendersi il fine settimana, nonch? nei periodi delle ferie estive o delle vacanze natalizie e pasquali;

– prestazioni previste dal Decreto Ministeriale del 23/10/2004 che rinvia alle tipologie di attivit? elencate nella tabella allegata al Regio Decreto n. 2657 del 1923.

Ne consegue che i contratti a chiamata possono essere avviati nelle sole ipotesi stabilite dai contratti collettivi nazionali, territoriali o aziendali.

La lettera b) del medesimo articolo prevede che, prima dell?inizio di ciascuna prestazione lavorativa, il datore di lavoro sia tenuto a comunicarne la durata con modalit? semplificate alla Direzione territoriale del lavoro competente per territorio, mediante fax o posta elettronica certificata.

In caso di violazione dell’obbligo di comunicazione trova applicazione la sanzione amministrativa da euro 1.000 ad euro 6.000 in relazione a ciascun lavoratore per cui ? stata omessa la comunicazione. In aggiunta a ci?, non trova applicazione la procedura di diffida di cui all?articolo 13 del decreto legislativo 23 aprile 2004, n. 124.

La norma, nella stesura presente nel DDL, ? incoerente per due motivazioni:

– poich? contraddice la centralit? delle comunicazioni che riguardano il rapporto di lavoro disciplinate dall’articolo 4-bis, comma 7 del d.lgs. 21 aprile 2000, n. 181, cos? come modificato ed integrato dall?articolo 1, comma 1184, della legge 27 dicembre 2006, n. 296;

– poich? introduce una misura sanzionatoria del tutto sproporzionata anche rispetto alla pi? complessa e delicata comunicazione di assunzione anticipata rispetto all?avvio del contratto subordinato e autonomo, che ? posta alla base del contrasto del lavoro irregolare.

D?altronde, la finalit? dichiarata di “contenere il rischio che lo strumento del contratto di lavoro intermittente possa essere utilizzato come copertura nei riguardi di forme di impiego irregolare del lavoro” non pu? certamente giustificare un regime sanzionatorio che ? notevolmente superiore a quello previsto per la mancata comunicazione di assunzione anticipata per la generalit? dei lavoratori (art. 19, comma 3 D.Lgs. 276/2003 che prevede una sanzione, peraltro diffidabile, da euro 100 a 500).

I contratti di lavoro intermittente gi? sottoscritti alla data di entrata in vigore del DDL, che non siano compatibili con le disposizioni di cui al presente articolo, cessano di produrre effetti decorsi dodici mesi dalla data di entrata in vigore del DDL.

 

LAVORO ACCESSORIO

In via generale si apprezza la scelta di eliminare una elencazione tassativa delle prestazioni ascrivibili a tale fattispecie, prima recata dal sostituendo art. 70 d.lgs. 276/2003, consentendo attraverso la maggior ampiezza applicativa di ritagliare le adeguate tutele a tutte le ipotesi in cui si riconoscano i canoni previsti (5.000 ? nel corso di un anno solare, con riferimento alla totalit? dei committenti).

In realt? l?impatto della norma, proprio perch? riferito ad una fattispecie lavorativa del tutto residuale, sar? comunque ininfluente in termini di ricadute occupazionali significative.

Appare discutibile la scelta che, se da un lato esclude correttamente dalle prestazioni di lavoro accessorio gli imprenditori commerciali e i professionisti, dall?altro autorizza le pubbliche amministrazioni al ricorso all?istituto in commento, scegliendo di non intervenire sul contenimento del precariato nel pubblico impiego.

fonte: www.consulentidellavoro.it

a cura di T. C. e S. M.