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Una fenice che rinasce dalle sue ceneri

di Maria C. Fogliaro

La La Land Poster

In un ingorgo stradale su un assolato cavalcavia di Los Angeles si incrociano per la prima volta i destini di Sebastian (Ryan Gosling) e Mia (Emma Stone). Improvvisamente la strada si trasforma in palcoscenico, e tutto intorno si accendono colori, musiche, canti, e balli. Inizia così, con una scena dal sapore classico, La La Land (USA, 2016, 127’), il terzo film di Damien Chazelle, con il quale il regista statunitense torna, dopo Whiplash (2014), a raccontare il proprio amore per la musica. Ricorrendo a quello che è, insieme al western, il genere cinematografico americano per eccellenza: il musical, del quale La La Land segue, dall’inizio alla fine, la tipica struttura narrativa.

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Con l’alternarsi delle quattro stagioni (che segnalano i capitoli in cui è diviso il film) i due protagonisti si incontrano grazie al caso, e subito si perdono; si conoscono, e si innamorano quasi solo per un istante, come in un girotondo amaro e inesorabile. Pur esibendo un forte contrasto, che si manifesta anche nei rispettivi appartamenti − dai colori sgargianti e pieno di riferimenti alle star della Vecchia Hollywood, quello di lei; semi-vuoto e ispirato al mondo del jazz e allo stile dei film in bianco e nero della Nouvelle Vague, quello di lui −, Sebastian e Mia hanno in realtà molto in comune. La volontà di entrambi è forte, e regge la rispettiva determinazione a realizzare i propri sogni. Lui, pianista jazz in precarie condizioni economiche, proprietario di una vecchia cabriolet rossa, e una sola idea in testa: far rivivere un tempio della musica − lo studio di registrazione Van Beek − che, in una città in cui tutti «venerano tutto, ma non danno importanza a niente», è stato trasformato in un samba-tapas bar, e aprire al suo posto un club nel quale il jazz possa tornare a splendere con le sue geniali improvvisazioni. Lei, aspirante attrice, lavora in un caffè all’interno degli Studios, e trascorre la maggior parte del tempo su copioni da imparare a memoria o in provini che spera le consentiranno un giorno di sfondare nel mondo del cinema. Su entrambi, però, incombono la precarietà e il pericolo dell’insuccesso. Basta un passo falso, e il sogno può rovesciarsi nel suo contrario, lasciando solitudine e disincanto. Oppure, se il successo arriva, le esistenze possono separarsi, e piegare verso un futuro fatto di lontananza e di promesse mancate.

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Pieno di rimandi a grandi film del passato − come si vede anche nel tributo a Gioventù bruciata, nella bellissima scena girata all’Osservatorio Griffith −, La La Land è un film giocato sull’aleatorietà dei rapporti umani, nel quale l’unico sentimento stabile che traspare è l’amore sfrenato per la città di Los Angeles, che la regia e la fotografia di Linus Sandgren omaggiano con splendide riprese nei suoi luoghi-simbolo, come appunto l’Observatory, il Rialto Theatre, la funicolare «Angels Flight», le Watts Towers, e lo storico jazz club «Lighthouse Café», in Hermosa Beach, che fa da sfondo a numerose scene del film.

Avvalendosi delle belle musiche composte da Justin Hurwitz (con un cameo di John Legend), delle splendide scenografie curate da David Wasco e Sandy Reynolds-Wasco − che hanno dato vita a una versione di Los Angeles in Technicolor −, e del montaggio di Tom Cross, Chazelle mette in scena un musical sofisticato e suggestivo, ispirato alle commedie musicali della Vecchia Hollywood e ai film di Jacques Demy, che hanno fatto sognare più di una generazione.

Con la macchina da presa il regista avvolge e segue continuamente i protagonisti, anche quando danzano in mezzo alle stelle dando vita a un universo dinamico, magico, e senza confini − proprio come sono i desideri, le speranze e le illusioni −. Ne esce così un film che, anche grazie alla bella prova di Ryan Gosling − che ha creato un personaggio che sembra uscito dal mondo letterario di Francis Scott Fitzgerald, con gli splendidi abiti pensati per lui da Mary Zophres −, riesce a far immergere lo spettatore in un mondo poetico, pieno di romanticismo, leggerezza, e una sottile e perdurante melanconia, proprio come i classici musicals della Vecchia Hollywood hanno sempre fatto, e che proprio per questo sono perennemente amati e costantemente rievocati.

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