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Amici per sempre? A margine della visita di Putin in Cina

di Flavia Solieri

(riprendiamo da www.inchiestaonline.it quest’articolo di Flavia Solieri, Docente di   Storia della Cina e dell’Asia Orientale all’Università di Bologna)
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Il 25 giugno scorso il Presidente russo Vladimir Putin è giunto a Pechino in visita ufficiale: la  quarta dal 2013, cioè dall’inizio della presidenza del suo omologo cinese Xi Jinping: circostanza già di per sé degna di nota.

Durante la visita, nelle parole di Putin sono stati discussi 58 diversi progetti, per un totale di 50 bilioni di dollari, relativi tra l’altro alla vendita a imprese cinesi di una serie di quote di partecipazione  russe, a un contratto di fornitura di  petrolio  e a  investimenti congiunti nel settore petrolchimico in Russia, all’eventuale costruzione di una linea ferroviaria ad alta velocità sempre in Russia entro la fine dell’anno.  Rosneft, il maggior produttore petrolifero russo,  ha concordato con la China National Chemical Corporation (ChemChina), la partecipazione di quest’ultima per un 40% al complesso petrolchimico VNHK, che Rosneft progetta di costruire nell’Estremo Oriente russo. L’affare aiuterà Rosneft a finanziare il progetto e ad accedere ai mercati della regione Asia-Pacifico – ha dichiarato l’impresa. Bisogna ricordare che la Russia è stata per la Cina in maggio, il mese precedente la visita di Putin,  per il terzo mese consecutivo il maggior fornitore di greggio, superando l’Arabia Saudita.

Anche se la cooperazione economica sembra avere occupato un posto di rilievo nei colloqui, le dichiarazioni ufficiali  fornite da Putin e da Xi permettono di  metterne a fuoco  anche altri aspetti importanti: Putin ha evidenziato come i punti di vista dei due Paesi relativamente allo scenario internazionale siano praticamente coincidenti; Xi, ricordando come quest’anno ricorra il quindicesimo anniversario del Trattato di Amicizia sino-russo del 2001, ha espresso l’auspicio che Cina e Russia possano restare “amici per sempre”. I due Presidenti hanno poi concordato circa la necessità, a fronte di un quadro internazionale sempre più complesso e instabile, di conservare ben saldo lo spirito di partnership e  cooperazione strategiche tra Mosca e Pechino.

In parallelo, il sito web del Cremlino ha riportato l’invito, da parte dei due governi, al rispetto  da parte di tutte le Nazioni  delle norme del Diritto internazionale, al mantenimento  del potenziale militare al minimo necessario alla sicurezza internazionale, ad evitare passi volti ad allargare  le alleanze politico-militari esistenti.  In tale dichiarazione è stato criticato lo sviluppo di sistemi anti-missile in Europa e in Asia,  sostenendo che il loro dispiegamento è spesso avvenuto sulla scia di   pretesti non rispondenti a verità. Non vengono menzionati Paesi specifici, ma è nei fatti che l’osservazione cade in un momento in cui Russia  e Nato sono in forte disaccordo circa la costruzione e il potenziamento di capacità militari,  anche missilistiche,  in Europa orientale.

Significativamente, le fonti ufficiali di Pechino hanno riportato , tra le aree di interesse toccate durante l’incontro, oltre a economia e commercio, gli Affari Esteri (e poi infrastrutture, tecnologia e innovazione, agricoltura, finanze, energia, sport, internet e media: settore, quest’ultimo, in cui Xi ha pubblicamente auspicato una cooperazione più stretta tra le rispettive agenzie, per accrescerne l’influenza  presso  l’opinione pubblica mondiale).

In un modo  che ripropone tra l’altro l’attenzione cinese per le ricorrenze e la ciclicità temporale,  gli analisti cinesi hanno sottolineato come la visita di alto profilo di Putin cada a 25 anni dallo  stabilimento  delle relazioni diplomatiche  tra  Cina e Russia e a 20  dall’inizio di “partnership e coordinamento strategico” tra i due Paesi. Lo stesso Xi Jinping, come ricordato, ha sottolineato come quest’anno ricorrano anche i 15 anni  dalla firma, nel 2001, del Trattato sino-russo di Amicizia e Cooperazione, di durata ventennale.

Quel Trattato, il cui denominazione completa in inglese è: “Sino-Russian Good-Neighbourly Treaty of Friendship and Cooperation”,  segnala fino dal nome (“Trattato di buon vicinato”) la comune attenzione alla dimensione geopolitica da parte dei firmatari. Che si sono dichiarati contrari ai piani missilistici statunitensi e si sono dati l’obiettivo di rafforzare la  cooperazione militare, nel comune rifiuto dell’intervento Nato del 1999 nei Balcani.  Putin e Jiang Zemin allora sottolinearono che si trattava di un accordo tra Paesi confinanti, alla ricerca di una nuova stabilità per la crescita e lo sviluppo in Asia, senza contenuti di alleanza militare. Il comunicato congiunto esprimeva la speranza di un nuovo ordine internazionale giusto e razionale, basato sul Diritto internazionale, senza interferenze  negli affari interni di Stati sovrani. Veniva esplicitato che il Trattato non era diretto contro Paesi terzi; esso  tuttavia prevede che Mosca e Pechino coordino la loro risposta, in caso uno dei due venga aggredito o minacciato.

Nella sua impostazione difensiva il Trattato non può non richiamare alla memoria  il Trattato di Amicizia a Alleanza firmato anch’esso a Mosca, nel febbraio 1950 (di durata trentennale e non rinnovato alla scadenza). Significativo il fatto che gli stessi Putin e Jiang abbiano nel 2001 sottolineato la circostanza per cui si trattava del primo accordo del genere da allora.

Inevitabile dunque alzare lo sguardo al contesto internazionale in cui tali Trattati difensivi sono stati firmati:  quello del 1950 era volto a contrastare una eventuale aggressione da parte del Giappone o di Paesi ad esso alleati (sullo sfondo della esperienza storica della politica estremamente aggressiva di Tokyo in Asia Orientale e nell’Estremo Oriente siberiano,  e poi del controllo di fatto unilaterale che gli Stati Uniti esercitavano sul Giappone nel secondo dopoguerra); nel 1949 era stato poi firmato il “North Atlantic Treaty”, e  la guerra fredda  stava per entrare nella sua fase “polare”, con lo scoppio di lì a poco della guerra di Corea. Il Trattato del 2001 è stato firmato, come accennato, sulla scia dell’intervento Nato nei Balcani.  L’allargamento della Nato e il rafforzamento di dispositivi militari nell’Europa orientale non si sono da allora arrestati;  alla luce poi della attuale politica del Primo Ministro giapponese Abe, caratterizzata in senso nazionalistico, di riarmo e potenzialmente interventistico,  certamente non si può escludere una  valenza del Trattato volta a contrastare anche possibili aggressioni  o tentativi di destabilizzazione sul fronte estremo-orientale.

In quell’area,  con la  nomina quest’anno alla presidenza di Taiwan della “indipendentista” Tsai Ingwen, un’altra circostanza che potrebbe fare escalare la tensione sarebbe una formale dichiarazione di indipendenza da parte di Taibei: già il Trattato del 2001 comprendeva il riconoscimento russo della sovranità di Pechino sull’isola. Quest’anno, dopo le  elezioni  presidenziali  a Taiwan e la vittoria di Tsai,  Mosca ha significativamente più volte e in sedi diverse ribadito la propria adesione al principio per cui esiste una sola Cina e Taiwan ne fa parte, chiamando al rispetto del “One China Principle”, o “1992 Consensus”: in quell’anno, tra rappresentanti non ufficiali di Pechino e di Taiwan si sarebbe infatti concordato sul fatto che esiste una sola “Cina”, di cui sia la Repubblica popolare cinese sia Taiwan  fanno parte; accordo che è difficile non leggere come reazione al processo storico che aveva portato poco prima alla riunificazione tedesca e poi alla dissoluzione dell’Urss, e volto a prevenire pressioni e manovre  disgregatrici nei confronti della composita entità “Cina”.

Al fronte di instabilità taiwanese si aggiungono poi la questione nordcoreana e le contese relative a isole,  nel Mar Cinese sia orientale sia meridionale.

Analisti cinesi invitano a considerare, nel quadro d’insieme, anche la recente politica della amministrazione Obama nella regione Asia- Pacifico (“Pivot to Asia”), volta a ribilanciare a favore di Washington alleanze e interessi strategici, militari ed economici.  Come in relazione alla Alleanza sono-sovietica del 1950, appare indispensabile, anche a chi scrive, non limitare l’analisi alle relazioni tra Russia e Cina, ma alzare lo  sguardo a considerare anche  scelte e iniziative statunitensi. In prospettiva,  anche l’incognita relativa alla prossima elezione del nuovo Presidente americano:  che posizione prenderà questi in relazione  al nuovo bellicismo e interventismo del Giappone, Paese saldamente inserito entro il perimetro di alleanze statunitense, o a possibili tentazioni indipendentiste di Taiwan? Incoraggerà o meno il governo dell’isola a continuare a riconoscere il “1992 Consensus”?

Sulla quarta visita di Putin a Pechino, aldilà degli aspetti di tipo economico-commerciale  e a rinnovati e diversificati interessi  comuni,  gravano anche  diversi  interrogativi.

A maggior ragione, sullo sfondo di uno scenario  carico di ragioni di tensione  e altamente instabile in numerose aree del globo (sono di questi giorni alcune decisioni cinesi che avvicinano più chiaramente Pechino a Mosca anche sulla questione siriana), appare più che mai necessario  valutare il quadro d’insieme in modo non affrettato, bensì  alzando lo sguardo a considerare  tutti gli attori e gli interessi  presenti sulla scena,  così come  le radici storiche di problemi  complessi.  Ed è sempre su uno sfondo di tal tipo che bisogna considerare anche l’auspicio espresso da Xi Jinping, durante la visita di Putin, che i due Paesi possano rimanere “amici per sempre”: probabilmente già un accenno rivolto al possibile rinnovo, questa volta, del Trattato firmato nel 2001 e in scadenza tra cinque anni.  E

molto probabilmente  rivelatore  del fatto che Pechino, dalla sua prospettiva, intravvede un orizzonte preoccupante.

FLAVIA SOLIERI

Docente di Storia della Cina e dell’Asia orientale all’Università di Bologna

(in collaborazione con www.inchiestaonline.it )

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