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Arrigo Boldrini: l’uomo, il partigiano, il politico

di Maria C. Fogliaro

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Valoroso comandante partigiano, dal temperamento sobrio e prudente, mite ma deciso. Intrinsecamente autorevole, e profondamente democratico. Comunista convinto, eppure capace di conquistare la fiducia e il rispetto degli Alleati. Sono queste le doti che fanno di Arrigo Boldrini (1915-2008) una figura straordinaria, figlia di un altro tempo ed esempio per il nostro. La vicenda del comandante Bulow (questo il suo nome di battaglia), capo della Ventottesima Brigata Garibaldi, intitolata a Mario Gordini, ci riporta al periodo drammatico della Seconda guerra mondiale e, in particolare, alla guerriglia partigiana che sorse e crebbe in Romagna. Grande tattico, Boldrini riuscì a convincere gli Alleati a seguire il suo piano per liberare Ravenna – ribattezzato poi dagli inglesi “operazione Teodora” – senza bombardarla, salvando in tal modo preziose vite umane e un patrimonio storico-artistico di inestimabile valore. L’impegno nella lotta ai nazifascisti valse a Bulow l’assegnazione, a guerra non ancora finita, della Medaglia d’oro al valor militare e l’inquadramento della Ventottesima Brigata nella struttura stessa delle forze alleate. Dopo il conflitto fu eletto deputato all’Assemblea costituente. Parlamentare per undici legislature – eletto fra le fila del PCI (Partito Comunista Italiano), prima, e del PDS (Partito Democratico della Sinistra) e dei DS (Democratici di Sinistra), poi –, Boldrini fu il presidente nazionale dell’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) dalla sua fondazione, nel 1945, fino al 2006, quando ne divenne presidente onorario.

In occasione del centenario della sua nascita, il Comune di Ravenna e l’Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea in Ravenna e provincia – con il patrocinio di Camera e Senato, del ministero della Difesa, della Regione Emilia-Romagna e della Provincia di Ravenna – hanno reso omaggio all’illustre partigiano, all’uomo e al politico, con una giornata di studio, tenutasi il 9 ottobre, dal titolo Dalla liberazione alla cittadinanza. Ravenna ricorda Arrigo Boldrini. Un’occasione di riflessione e di confronto, che ha visto gli interventi di autorevoli studiosi e di personalità politiche, e la partecipazione numerosa di studenti e cittadini. In particolare, sono intervenuti: Fabrizio Matteucci (sindaco di Ravenna), Carlo Galli (filosofo politico e deputato), Giuseppe Masetti (direttore dell’Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea), Riccardo Sabadini (presidente dell’Istituto storico della Resistenza e dell’età contemporanea), Luciano Casali (storico dell’Università di Bologna), Achille Occhetto (ex deputato, ultimo segretario del PCI e primo segretario del PDS), Edmondo Montali (ricercatore, Fondazione G. Di Vittorio), Nicolò Da Lio (ricercatore, Università di Siena), Carlo Ghezzi (comitato nazionale ANPI), Enrico Liverani (PD Ravenna), Carlo Boldrini, figlio di Arrigo.

Nel lascito politico di Arrigo Boldrini, nel suo pensiero e nella sua azione, c’è – irrinunciabile – l’idea che la Repubblica italiana non è una democrazia qualsiasi, ma è quella specifica democrazia nata dalla Resistenza. Che si tradusse nella preoccupazione costante di fare dello Stato italiano il punto di riferimento vivo per tutte le forze antifasciste e democratiche. Nel ricordarlo – ricevendo la targa commemorativa della Presidenza della Repubblica – Fabrizio Matteucci ha rievocato la fermezza e la coerenza che sempre animarono Boldrini, soprattutto quando – negli anni centrali della «prima Repubblica» – si mosse a difesa dello Stato, sotto attacco di forze eversive, «riuscendo a mantenere saldi i valori della democrazia». Ricordando Boldrini e, con lui, la Resistenza, la sfida che abbiamo davanti – ha detto Matteucci – è quella di «recuperare la memoria di quegli anni con le sue luci e le sue ombre» e di trasmettere questa eredità di valori democratici alle giovani generazioni.

«La Patria – ha affermato Carlo Galli – deve grande riconoscenza a Bulow, due volte». La prima quando, fra il 1943 e il 1945, «nel momento della più dura contingenza» Boldrini prese la «grande decisione»: stare con l’Italia e combattere il nazifascismo. Una scelta – ha rilevato Galli – che non fu soltanto di Bulow, ma che rappresenta «il momento costituente storico» della Repubblica, poiché «per la prima volta nella storia d’Italia, il popolo italiano decideva sopra se stesso», portando a piena realizzazione gli ideali democratici del Risorgimento. La seconda, essenzialmente, in occasione del rapimento del presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro, da parte delle Brigate Rosse (BR). Allora, la voce più autorevole della Resistenza si levò a difesa «di una concezione forte della democrazia, fatta di autorità e, insieme, di libertà». «Se – ha affermato Galli – il portatore della legittimità della Resistenza avesse legittimato le BR, avrebbe delegittimato la Repubblica. Ovviamente, fece il contrario».

Il cuore della concezione politica popolare che Boldrini ebbe della Resistenza si manifestò – ha osservato Giuseppe Masetti – nella consapevolezza della «necessità di radicare la guerra partigiana nelle masse popolari», e si concretizzò nella scelta di combattere la guerriglia in pianura (la cosiddetta «pianurizzazione»); strategia risultata vincente proprio perché il popolo, in queste terre, partecipò, fornì aiuto e protesse chi combatteva il nazifascismo, legittimando in tal modo l’esperienza partigiana. Boldrini fu, quindi, prima di tutto un patriota, che – ha affermato Luciano Casali – riuscì a infondere nei propri uomini l’idea che «gli interessi delle masse coincidevano con le ragioni storiche della Patria». I partigiani ravennati si dimostrarono, infatti, elementi d’ordine, dei «moderati, che davano garanzie di disciplina», ed uscirono a testa alta, anche sul piano giudiziario, dalle accuse di violenza frequentemente mosse contro di loro a guerra finita, come nel caso delle stragi di fascisti a Codevigo (Padova, aprile-maggio 1945).

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Tutta la tensione democratica che animò l’uomo e il partigiano riemerge quando a ricordare l’amico e il maestro interviene Achille Occhetto, l’ultimo segretario del PCI e autore della trasformazione che pose fine all’esperienza del più grande partito di massa dell’Europa occidentale. Occhetto ha raccontato di essersi rivolto a Bulow prima della «svolta» e che, in quell’occasione, il capo partigiano, visibilmente commosso e comprensibilmente turbato, diede il proprio assenso al progetto che avrebbe cambiato non solo «il partito», ma la politica italiana. Rifondare la politica era l’obiettivo di quella «svolta», individuando un percorso nuovo che la sinistra deve ancora cercare, secondo Occhetto, nella «lotta per il superamento della natura fortemente classista delle società capitaliste, delle gridanti disuguaglianze di un moderno sviluppo che distrugge la dignità umana e lo stesso pianeta, come ha messo bene in evidenza l’ultima Enciclica di Papa Francesco».

La distanza che il tempo ha messo tra noi e il mondo in cui Arrigo Boldrini visse e agì non è superabile: la politica autorevole ed energica, incarnata dal comandante Bulow, oggi ci appare mitica, fuori dalla portata di questa epoca. Il sistema politico italiano sembra languire impaludato o subalterno, privo di visione e di strategia a lungo termine, immiserito da molti dei suoi protagonisti. Resta però, di Bulow, una grande lezione: la nostra democrazia si fonda sulla Costituzione, che è nata dalla Resistenza; le libertà che la Costituzione ci garantisce devono essere rispettate e fatte rispettare ovunque, a partire dal posto di lavoro; la politica è un’attività alta e potente, fondata sul rispetto dell’avversario e, al contempo, sul conflitto, che è vitale per la democrazia. Durante la sua presidenza dell’ANPI, in due circostanze, Boldrini intervenne nel discorso pubblico con parole durissime: contro la «legge truffa» nel 1953 e quando, nel 1960, si costituì il governo Tambroni con i voti determinanti del Movimento Sociale Italiano (MSI). In particolare, su quest’ultima vicenda Bulow, chiamando alla lotta i partigiani, affermò: «Nessuna fiducia della Resistenza a un governo che tresca con chi abbandonò l’Italia ai nazisti invasori affiancandone la feroce aggressione. Nessuna esitazione, non si va contro la Storia. Non si governa contro il popolo. L’avvenire dello sviluppo democratico e le fortune del Paese sono legate alla sua avanzata sulla strada indicata dalla Resistenza e tracciata dalla Costituzione repubblicana».

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