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La mina vagante degli Aiuti di Stato

di Anna Salfi

Segreteria regionale CGIL Emilia-Romagna | Responsabile Politiche europee, internazionali e della Cooperazione internazionale

Che le politiche neoliberiste e il dominio della finanza sull’economia reale abbiano avuto un ruolo preminente nello scatenarsi della crisi sembra fatto ormai acquisito. Altrettanto lo è la convinzione che la politica – in senso lato – abbia perso il controllo e gran parte del suo ruolo nel governo e nell’indirizzo della realtà economica così come la sua stessa leadership.

Oggi, le ricette confuse, incerte e contraddittorie che provano a cavalcare “the beast” ovvero la bestia di un capitalismo rapace e distruttivo mostrano tutta la loro inefficacia e il loro caos.

 La CGIL, con il suo Progetto di Piano per il Lavoro e con l’elaborazione a questo sottintesa, ha proposto una sua linea e la sua idea per cambiare questo stato di cose e per uscire dalla crisi con la contemporanea riduzione delle vecchie e nuove diseguaglianze. Una ricetta anticiclica, che qualcuno ha voluto definire neo-keynesiana che si fonda prioritariamente su un ruolo attivo e propulsivo dello stato nell’economia.

D’altro canto se la politica – in senso nobile – e lo stato – in senso lato – non dovessero almeno ambire al governo dell’economia e si accontentassero di arginare il possibile offrendo una sostanziale e palese acquiescenza alle dinamiche darwiniane del mercato libero, a cosa servirebbe?

 Ebbene, per fare ciò, non basta pensarsi nei ristretti confini statuali o, ancor meno, regionali o locali e il caso recentissimo del recupero di Aiuti di Stato illegali che dalla UE viene rivendicato per la Multiutility A2A dovrebbero convincerci definitivamente – se mai ce ne fosse ancora bisogno – che i confini europei sono solo il perimetro minimo di riferimento di cui tener conto.

 La normativa europea sugli Aiuti di Stato che garantisce il principio comunitario della concorrenza serve ad evitare misure protezionistiche nei confini europei e determina il recupero di quegli aiuti, incentivi, esenzioni, agevolazioni che i singoli Stati abbiano deliberato per favorire iniziative ed imprese, come sono anche le Multiutilities.

 Il caso A2A – oggi alla ribalta – ci dice come il processo di aggregazione e gli incentivi dati sotto diverse forme a queste imprese, per favorirne l’aggregazione o l’imprenditorialità sono stati – spesso realizzati in violazione delle regole derivanti dal principio della concorrenza comunitaria e oggi vengono recuperate richiedendo anche molti anni dopo cifre enormi allo Stato di riferimento che si rivale sull’azienda stessa.

 Nell’ipotesi di cui oggi si legge sui giornali si tratta – in realtà – soltanto della fine del contenzioso relativo alla cifra dovuta a titolo di interessi. Un caso di anatocismo ovvero di calcolo composito degli interessi sull’ammontare dovuto, per un valore di 120 milioni di euro.

Lo Stato italiano, nel rivalersi sull’Azienda del recupero degli Aiuti di stato riconosciuti illegittimi – aveva applicato quel particolare calcolo degli interessi che considera gli interessi maturati e non pagati come capitale e, come tali, idonei a produrre nuovi ed ulteriori interessi.

 Avviene così che, tredici anni dopo che la grande Multiutility lombarda aveva goduto di incentivi, sgravi fiscali e agevolazioni per la trasformazione in SpA e per la sua quotazione in Borsa, la Corte di Giustizia europea di Lussemburgo dà ragione allo Stato italiano – già condannato al pagamento di 170 milioni di euro – per aver previsto incentivi e sgravi fiscali in violazione della normativa comunitaria e con la finalità di neutralizzare il vantaggio concorrenziale.

 Lo Stato italiano, rivalendosi verso l’Azienda per l’ammontare non dovuto di 170 milioni di euro a titolo di imposte non versate, aveva applicato il calcolo degli interessi composito per ulteriori 120 milioni di euro, portando il dovuto da parte dell’Azienda A2A controllata dai Comuni di Milano e di Brescia a 290 milioni di euro. Come dire, poche noccioline da versare nelle casse statali.

 E’ l’Europa ancora una volta la matrigna o sono gli Stati e le loro articolazioni che hanno agito contra legem? E se lo hanno fatto non sapevano o facevano finta di non sapere dei vincoli esistenti? Il caso A2A è un caso singolo o, anche in Emilia Romagna potremmo trovarci in un’analoga situazione e non solo con riferimento a quella tipologia di azienda?

 La lezione che possiamo desumere da questo fatto, anzi le lezioni, sono diverse. Innanzitutto il fatto – già enunciato in premessa – che le nostre soluzioni alla crisi devono tenere in conto e contemplare sempre sia il perimetro europeo che una revisione della normativa comunitaria in termini coerenti con le nostre strategie.

In secondo luogo, che il principio della concorrenza deve trovare in futuro un forte temperamento negli aspetti sociali oltre che negli interessi economici o peggio meramente finanziari. Avere i conti in ordine nei bilanci e una comunità stremata o ridotta alla povertà estrema è cosa inaccettabile.

In terzo luogo, che i tempi per la definizione delle controversie comunitarie devono essere drasticamente ridotti per non favorire – nei fatti – l’adozione di misure che, assunte oggi, scaricano il prevedibile contenzioso sulle future e giovani generazioni.

  Infine, che i nuovi vertici del sindacato europeo che emergeranno sia dal congresso della CES che della FERPA, che si terranno entro la fine del mese e che, per la prima volta vedranno Luca Visentini e Carla Cantone – entrambi italiani – dirigere due tra le più grandi strutture di rappresentanza europea, hanno un nuovo e più ardito compito.

Quello di assumere un ruolo sindacale più politico e contrattuale non solo in favore dei lavoratori e delle lavoratrici di tutta Europa, ma anche verso le Istituzioni comunitarie. Recuperare lo spazio sociale europeo è urgente e necessario perché l’Europa possa tornare ad essere percepita come la comunità di tutti e di tutte.

Bologna, 9 settembre 2015

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