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Tutele crescenti contro lavoro calante


 

Dopo anni spesi in contrasti spesso di natura squisitamente “personalistici”, il principale partito della sinistra italiana (come si sarebbe detto un tempo…) ma in realtà l’ultimo “partito” rimasto sulla piazza dell’offerta politica si è diviso su una proposta politica, che rappresenta la sintesi di un progetto per l’Italia che verrà.

Le frizioni sull’art. 18 rappresentano, tuttavia, un falso problema: bene sta facendo la Direzione del PD, ed in particolare il suo responsabile economico, Filippo Taddei, ad impegnarsi nel far comprendere la reale portata (innovativa, non depressiva delle tutele, in concreto, godute dai lavoratori) della riforma in corso di discussione.

Il Jobs Act rappresenta, in altri termini, un’occasione, un’opportunità; ritengo che i milioni di italiani sotto i 30 anni (ma anche quelli oltre…) non siano tanto preoccupati della “stabilità” del “posto”, quanto sulla “effettività” e trasparenza delle opportunità di carriera.

La vera sfida della sinistra moderna è quella di consentire a tutti, partendo da livelli di reddito, cultura ed estrazione sociale diversi, di poter raggiungere traguardi lavorativi ambiziosi; il Jobs Act va in questa direzione, garantendo anche, indirettamente, una selezione meritocratica dei profili di interesse per l’azienda.

Oggi, una persona che perde il lavoro si trova, anche se conosce un mestiere, privo di rete di sostegno (non di assistenza) e di effettive opportunità di reinserimento nel mercato del lavoro.

Questo si verifica perché il mercato del lavoro italiano è a due velocità: da  un lato, le tante forme di precariato e sotto-occupazione introdotte nel 1997 dalla riforma del lavoro “Treu” e poi cristallizzate nel 2003 dalla riforma “Maroni” (e non tiriamo in ballo il povero Marco Biagi), per le quali lo Statuto del 1970 è semplicemente un miraggio; dall’altro, i lavoratori dipendenti in aziende con più di 15 addetti, che appaiono (ma spesso non sono) blindati al loro posto di lavoro.

Molte aziende hanno chiuso, in Italia; in Emilia-Romagna i processi di ristrutturazione hanno comportato (malgrado l’art. 18) la perdita secca di migliaia di posti di lavoro, che difficilmente saranno recuperati nel breve periodo.

Occorre, invero, più tutela nel mercato del lavoro, non una tutela (inefficace) del posto di lavoro.

Dietro questo giro di parole, apparentemente semplice, si gioca una sfida fondamentale, che una sinistra finalmente libera da pregiudizi può combattere e vincere, per garantire a tutti migliori condizioni lavorative e più opportunità.

Sarà stato “forte” il richiamo del Primo Ministro Renzi al fatto che per lui anche un imprenditore è un “lavoratore” e non un “padrone” durante la sua replica nella Direzione del PD del 29 settembre (tra l’altro, compleanno sia di Bersani che di Berlusconi)?

Penso di no. Nell’attuale scenario mondiale, economico e culturale, non si può pensare di riprendere un percorso virtuoso di benessere per le famiglie italiane ed i giovani se non si pensa di “remare” tutti per lo stesso obiettivo, cioè la crescita nell’equità e nella valorizzazione dei talenti.

Ciascuno al suo posto, ciascuno assumendosi le proprie responsabilità.

Bologna 3 ottobre 2014

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