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Politiche di spesa e lavoro per una Europa 2.0

di Alessandro Albano

E’ notizia di oggi che il primo trimestre è stato caratterizzato da un forte rallentamento della nostra economia, che ha determinato un decremento del nostro PIL.

Si tratta di una pessima notizia, che non giunge, credo, inaspettata.

L’Europa che, a partire dall’introduzione dell’euro è stata caratterizzata da un pensiero “forte”, rappresentato dall’esigenza di stabilità dei conti pubblici, e dal contenimento della spesa statale,  si è scontrata duramente con una crisi finanziaria che ha comportato una crisi economica duratura e di difficile soluzione.

In tale contesto l’Italia, abituata ad una politica di spesa pubblica significativa, ha dovuto lottare per raggiungere parametri di indebitamento sino a pochi anni fa del tutto impensabili.

L’Italia è cresciuta meno degli altri Paesi europei negli anni dell’ingresso nell’euro, ed ha affrontato una crisi più dura a partire dal 2008; in tale contesto sarebbe stata necessaria una significativa spinta agli investimenti ed alla crescita, mediante una forte detassazione dei redditi di lavoro dipendente ed autonomo, e della tassazione sulle imprese, ed un incentivo alla spesa pubblica produttiva.

Purtroppo il nostro Paese si è invece trovato costretto a ridurre la spesa pubblica, che in un periodo di recessione provoca un effetto di ulteriore depressione, ed a tassare il mattone, che rappresenta un bene privato diffuso, il che ha creato ansie individuali e depresso il mercato dell’edilizia.

La scelta, intrapresa dal Governo, di dare un bonus di 80 euro alle famiglie del ceto medio – basso della popolazione è stata un passaggio importante, e coraggioso, perché inverte una tendenza di “rigore” che ha provocato un ulteriore deperimento delle condizioni dell’economia ed un peggioramento della situazione delle famiglie.

Le imminenti elezioni europee dovrebbero indurre a riflettere su quale politica europea auspichiamo; probabilmente la “ricetta” sinora adottata dalla Commissione europea e dalla Banca Centrale Europea non è sufficiente, e forse è sbagliata; occorre incrementare la spesa pubblica (e, comunque, riorganizzarla), investendo su grandi opere pubbliche (expo, alta velocità) su cui l’opinione pubblica pur presenta delle perplessità.

Non solo: occorre valorizzare le peculiarità del nostro Paese nel contesto europeo, e cioè principalmente la  forte componente di risparmio personale e familiare di cui disponiamo; che va preservata da attacchi indiscriminati ma va eventualmente tassata per offrire un forte abbattimento (ed una semplificazione) delle aliquote IRPEF (a diretto beneficio di un incremento della spesa interna per consumi).

Solo un forte investimento pubblico ed una significativa detassazione del reddito di lavoro può garantire condizioni di crescita, evitando un progressivo trasferimento di ricchezza dal nostro Paese all’estero; offrire la possibilità di rimpatrio dei capitali dall’estero a costi ragionevoli è una opportunità da non perdere.

L’incremento dei consumi interni deve essere una priorità (alcuni giorni fa Federalberghi ha confermato la ripresa del mercato del turismo ma principalmente a causa di presenze estere); ciò consentirà di produrre nuovi posti di lavoro, più opportunità per gli imprenditori ed intraprendere un ciclo virtuoso della crescita, interrotto da troppo tempo.

Non è fondata l’idea di dover uscire dall’euro per risolvere i nostri problemi, è però fondamentale cambiare politica europea perché l’euro possa esistere ancora nel futuro

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