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Il DEF: manifesto degli equilibristi

di Alessandro Albano

 Avvocato e Dottore di ricerca in Diritto tributario europeo

 

Abbiamo appreso ieri sera che il Governo ha deciso di ridurre l’IRPEF per una vasta platea di persone, ed abbiamo altresì avuto modo di apprezzare che sono state assunte decisioni per ridurre il divario tra retribuzioni dei top-manager di Stato ed i dipendenti delle stesse aziende, nonché altre misure, nella direzione di “riequilibrare” il peso della contribuzione tra ceti più abbienti e meno abbienti, e di favorire la crescita delle imprese.

Si tratta di decisioni corrette, che sicuramente produrranno anche un “riscontro” elettorale, oltre ad impatti positivi sulla crescita (inevitabilmente ed ineluttabilmente legata ad un incremento dei consumi, anche per scongiurare il rischio di una forte deflazione), tuttavia segnaliamo alcune criticità, suggerimenti per migliorare un testo che ancora può essere emendato.

Primo: fissare un tetto di 25.000 euro significa tagliare fuori una parte del ceto medio, sarebbe stato più conforme a criteri di equità, del resto suggeriti dalla stessa Costituzione, laddove prevede che il sistema fiscale sia informato al criterio di progressività dell’imposizione, individuare un meccanismo decrescente fino a coprire integralmente il secondo scaglione delle aliquote IRPEF attualmente in vigore (fino ad Euro 28.000); ciò avrebbe infatti consentito anche di giungere a dare un po’ di respiro anche a chi guadagna poco più di 1600 euro al mese, attualmente penalizzato (senza motivo) da tale manovra.

Secondo: porre le basi per riformare in maniera incisiva il meccanismo di contrasto all’evasione ed elusione fiscale; non ne abbiamo sentito parlare ma si tratta di un passaggio fondamentale, finora non adeguatamente trattato dal Governo; a tal fine dovrebbe essere ridiscussa su nuove basi la Convenzione tra Ministero dell’Economia ed Agenzia delle Entrate; certamente non può essere affrontata nel DEF, ma il Governo avrebbe dovuto e potuto fare di più su tale profilo. In merito a ciò, comprendiamo che tale passaggio avrebbe potuto ripercuotersi negativamente in vista delle prossime elezioni amministrative ed europee, in considerazione della criticità dell’attuale situazione economica, vissuta da un numero elevato di contribuenti medi e medio – piccoli.

In relazione a ciò, un passaggio fondamentale sarà capire quali saranno le regole (che si prevede saranno in vigore a settembre 2014) in merito alla c.d. “voluntary disclosure” (rientro dei capitali dall’estero). Sul punto, il Governo nulla dice; dal disegno di legge in discussione, tuttavia, si comprende che si valuta la possibilità di concedere non solo una riduzione delle sanzioni, ma anche delle maggiori imposte. Si tratta di un tema delicato su cui il Governo, pare di capire, lascia spazio al Parlamento.

Terzo: proporre con forza una nuova politica di spesa quale strumento per uscire dalla stagnazione e dal rischio di deflazione; in tal senso, andare oltre il 3% deve essere non solo un auspicio ma un impegno del Governo, da assumere con la Commissione europea, da discutere con i partner dell’Eurozona in maniera seria e decisa; ciò contribuirebbe ad accrescere anche il nostro “peso” e la nostra “naturale” leadership delle economie del Sud d’Europa, al quale apparteniamo, e che non dobbiamo dimenticare.

A tale riguardo, ricordiamoci sempre che abbiamo voluto con forza noi la Spagna nel 1981 in Europa, e poi la Grecia nel 1986; ci siamo spinti consapevolmente verso un allargamento “a sud”, e la classe politica dell’epoca aveva probabilmente compreso che la vera distinzione non è tra Europa dell’Ovest/Europa dell’Est (peraltro svanita dopo il 1989), bensì tra Paesi del Nord Europa (Germania in testa) e Paesi del Sud Europa (di cui noi, più che la Francia, dovremmo essere i naturali portatori di interessi).

Non è questa la sede per indagare i molteplici strumenti che possiamo attivare per far sentire la nostra voce in Europa in maniera chiara e forte, tuttavia riteniamo che sia da manifestare, tra l’altro, con atti concreti, di governo nazionale ma di impatto comunitario, come il DEF la nostra volontà di costruire un’Europa più vicina ai cittadini.

Vi sono ulteriori temi che meritano di essere analizzati (dove e come tagliare la spesa pubblica, dove e come incentivare i risparmi di spesa futuri…) ma non è questa la sede per trattarli con profondità; ci limitiamo a dire che il cosiddetto “tetto” ai manager di Stato è probabilmente la misura più equa (anche se meno produttiva di gettito) che il Governo ha assunto, corretta e sulla quale non devono essere fatti passi indietro.

Il DEF va, in conclusione, nella giusta direzione; aspettiamo alcuni miglioramenti, ma soprattutto ci aspettiamo che il coraggio e la forza di innovamento impressa dal Primo Ministro non si esaurisca a questa fase, ma si arricchisca, anzi, di sempre maggiore concretezza ed incisività.

Bologna 9 aprile 2014

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